Non è tutto oro quel che luce!

    Meneghetti accusato di omicidio colposo

    Il nostro amico Tonino Meneghetti sale alla ribalta degli onori della cronaca nell'ottobre 1991, in Sardegna, quando muore una sua "allieva prediletta" - Marina Furlan - avvenente ex reginetta di bellezza di 28 anni.

    I giornalisti si scatenano per sapere tutto di quell'azzardato navigatore che, portando a fare un giretto in barca la ragazza, non riesce a salvarla dalle onde che improvvise si abbattono sulla barchetta rovesciandola e facendo scomparire lei tra i flutti mentre Tonino raggiunge a nuoto la spiaggia.

    La storia che emerge dalle indagini giornalistiche è piuttosto singolare, come poi sarà anche evidenziata dal processo. Meneghetti era conosciuto dagli isolani per aver distribuito biglietti da visita con una sfilza di suoi appellativi e onorificenze, e per presentarsi come scienziato fondatore di una nuova ideologia: l'ontopsicologia, della quale la Furlan era rimasta affascinata e ne seguiva le orme (o era costretta ormai a farlo).

    In quel periodo tutti i giornali si occupano del caso, mentre i giudici faticano non poco per cercare di appurare la verità su quella strana morte.

    L'episodio è presto detto: Marina, una ragazza di origine friulana, era entrata da diversi mesi nel gruppo di seguaci di Meneghetti, portata dalla sua madrina di battesimo, triestina che, accattivatasila fiducia della famiglia dei Furlan, aveva condotto la ragazza nella sede del gruppo (che allora era a Scandriglia - Rieti), per farla emergere nel mondo degli studi universitari e artistici. Marina, non aveva opposto resistenza a quella che considerava un'amica e si era lasciata pian piano alle spalle la sua vita friulana, la sua famiglia, i suoi amici, per poter seguire completamente il suo "maestro". Una volta dentro aveva subito forse diversi soprusi, ma non poteva più ribellarsi, perché il suo comportamento era ormai dettato dal gruppo al quale apparteneva, era stata allontanata dalla famiglia, usciva solo accompagnata da altri seguaci e possedeva il gergo classico del movimento che la teneva lontana dal mondo comune e da chi avrebbe eventualmente potuto aiutarla.

    Negli ultimi tempi prima di morire Marina aveva cercato il modo di riavvicinarsi alla famiglia, forse voleva chiedere aiuto per uscire dal cerchio in cui era entrata e forse aveva manifestato l'intenzione di scappare da Scandriglia. Sembrava diventata insofferente anche ai dettami del maestro e voleva fare un po' di testa sua: questo alla leadership non andava a genio.

    Così Meneghetti la prende e la porta nella sua villa in Sardegna, facendola passare per sua amante, poi per sua allieva, poi per ribelle da riformare, poi per amica.

    La porta su una barca in alto mare per parlarle dolcemente e forse convincerla della bontà delle sue intenzioni, allorché un'onda anomala si alza, rovescia la barca e lei annega miseramente, mentre lui torna a riva a dare l'allarme.

    Il processo è lungo e intricato, accorrono a testimoniare a favore di Meneghetti le sue fedelissime seguaci e gli verrà imputato solo l'omicidio colposo.

    Certo è che Marina, dall'autopsia e dalla ricostruzione dei fatti, risultava saper nuotare (il fidanzato stesso disse di averglielo insegnato) ed è stata ritrovata nuda, con segni strani attorno al collo.

    Omicidio colposo? Certo i giudici avranno valutato attentamente il caso, ma a volte è difficile valutare altrettanto attentamente tutte le intricate dinamiche che si instaurano in un gruppo che pare avere i connotati di una setta fra le più audaci e scivolose.È quindi lecito chiedersi: Marina morì per causa accidentale o per essere messa a tacere di eventuali rivelazioni che avrebbe potuto fare sulle finalità occulte del gruppo e del suo fondatore? Per comprendere meglio la storia processuale di questo omicidio bisogna rileggere attentamente non solo le strane discrepanze della sentenza , ma anche i resoconti degli atti del processo e degli interrogatori, pubblicati dai giornali locali.

    Certo è che vi furono diversi momenti durante le indagini e il processo, nei quali il Meneghetti incappò in una serie di farfugliamenti e di contraddizioni. Il primo di questi riguarda come era vestita Marina al momento dell'incidente, che metteremo in connessione con la sentenza ufficiale:

    «Il drammatico racconto del professore incalza: "Dopo un quarto d'ora, una motovedetta della capitaneria, che si ferma a un chilometro da dove, intanto, è riaffiorato il corpo di Marina, poi torna indietro. E così fa una seconda imbarcazione. Hanno poi detto di non aver visto niente. Eppure Marina aveva una tuta fucsia, e per più di un'ora è rimasta miracolosamente immobile nello stesso punto"» (Visto ottobre 1991).

    Non solo.

    «L'ontopsicologo residente a Scandriglia ha aggiunto che Marina indossava un giubbotto salvagente. Su quest'ultimo particolare il rapporto dei carabinieri risulta discorde. La giovane psicologa, al momento del ritrovamento del cadavere, indossava solo una giacca a vento. Per il resto era nuda» (Il messaggero - Lazio, 7 ottobre 1991).

    «È finita proprio ieri, invece, la fatica dei carabinieri del Nucleo subacquei di Cagliari che per quattro giorni hanno scandagliato e setacciato il tratto di mare in cui si ribaltò il piccolo fuoribordo sul quale sedeva Marina Furlan (mentre il professor Meneghetti nuotava poco distante). I sommozzatori hanno ritrovato un asciugamano rosso e lo slip di un bikini color azzurro che dovrebbe appartenere alla giovane psicologa» (Il messaggero - Lazio, 12 ottobre 1991).

    La seconda riguarda le condizioni del mare, che vengono descritte come tranquille o comunque non preoccupanti dal Meneghetti e come forza cinque e pericolosissime dai Carabinieri:

    «LA DIFESA GETTA LA SPUGNA - ANTONIO MENEGHETTI CADE IN PARECCHIE CONTRADDIZIONI
    Meneghetti ha sempre sostenuto di aver preso la via del mare con la sua amica, a bordo di una barca di piccolo cabotaggio, dopo aver ascoltato il "meteo" alla radio. L'acqua non era calma, ma neanche minacciosa . Di qui la risoluzione ad allontanarsi dalla riva. Ma ecco, la prima contraddizione: i carabinieri di Carloforte avrebbero accertato che all'ora indicata da Meneghetti era stato diramato un avviso ai naviganti tutt'altro che rassicurante . Il che sovvertirebbe le precisazioni dell'ontopsicologo, che avrebbe scalpitato di fronte alla prova sciorinatagli sotto il naso dal magistrato». (Il messaggero - Lazio, 7 ottobre 1991).

    «Ma cosa è successo? "Era l'ultimo giorno di mare e siamo partiti poco prima delle 14. Volevamo goderci quel pomeriggio. Andavamo piano e quando siamo arrivati all'altezza della Caletta, un posto che non conosco molto bene, sono rimasto incantato: c'era il sole, il mare piatto. Ho pensato: mi faccio l'ultimo bagno".
    Che cosa pensava di fare? "Confesso che ho pensato che fosse finita. Sono morto, sono morto, mi son detto. Ed ho avuto un lampo nel pensiero. E tutte le cose che devo ancora fare? C'è l'università islamica di Samarcanda che mi vuole per un seminario"» (L'unione sarda - Cagliari, 12 ottobre 1991).

    «Ma ecco il dilemma che arrovella gli inquirenti e che potrebbe rivelarsi la chiave del "giallo"; come mai Meneghetti si è avventurato in un mare burrascoso (forza cinque) portando con sé l'amica che non sapeva nuotare? Non solo. I carabinieri, che in un primo tempo sono stati indirizzati dallo stesso Meneghetti verso Punta dei Cannoni anziché Punta dello Spalmatore, escludono che la giovane indossasse il giubbotto salvagente». (Il messaggero - Rieti).

    «"Il mare era davvero grosso - sottolinea il maresciallo dei Carabinieri che comanda la stazione di Carloforte - e spirava un forte maestrale: io con quelle onde non mi sarei avventurato al largo"» (Messaggero - Lazio - 4 Ottobre, 1991).

    Certo una bella idea quella di uscire con un mare così grosso e di essere tanto "su di giri" da decidere anche di farsi un bagno! Inoltre non è mai stata ritrovata l'àncora del natante, che invece avrebbe dovuto essere gettata in acqua proprio per fare la famosa nuotata:

    «Nessuna traccia invece dell'àncora del piccolo natante: essa dopo il ribaltamento sarebbe dovuta cadere perpendicolarmente sul fondo sabbioso. Il suo ritrovamento avrebbe potuto permettere di identificare esattamente il punto dove accadde la tragedia che costò la vita alla bellissima ragazza nativa di Gorizia» (Il messaggero - Lazio, 12 Ottobre, 1991).

    Quando il procedimento entra in Appello gli avvocati difensori di Meneghetti rilanciano tutta la storia in chiave soft e passionale:

    «Meneghetti fu condannato dal pretore di S. Antioco a un anno e otto mesi. Ieri l'appello. Il procuratore generale chiede la conferma della condanna. Ma i legali della difesa provano a raccontare un'altra storia, quella del sole che splende, del mare invitante, della gita romantica. E sostengono con forza la tesi dell'incidente, un maledetto incidente» (L'unione sarda, 19 Gennaio, 1996).

    Infine si vuol fare notare che Marina fu passata per sua amante (nonostante la presenza in Sardegna della moglie di lui e del fidanzato di lei), per allieva, per illetterata da recuperare, e altre cose simili, a seconda della necessità del momento:

    «MARINA ERA MIA AMANTE» (Il messaggero - Rieti 15 Ottobre, 1991).

    «Che rapporti c'erano con Marina Furlan?
    "Una mia allieva. Niente altro che una mia allieva.
    Io ho conosciuto Marina Furlan nel 1983: si presentò al college che dirigevo a Rieti, indirizzata da una psicologa triestina. Aveva la terza media e in un paio d'anni è arrivata a laurearsi in Psicologia. Insegnava ai miei figli e stava per conseguire la seconda laurea in pedagogia"»  (L'unione sarda - Cagliari - 12 Ottobre, 1991).

    «Fino a quella tragica vacanza in Sardegna, dove si trovava anche Claudio Zanchi, il ventiduenne fidanzato di Marina. Era dovuto però partire prima, la domenica. Il mercoledì è successo l'incidente» (L'unione sarda - Cagliari - 13 Ottobre, 1991).

    La sentenza è stata abbastanza favorevole a Meneghetti (perché omicidio colposo significa poco a livello penale), ma a noi rimane il tarlo del dubbio sull'effettiva dinamica degli avvenimenti anche perché:

    «Tonino Meneghetti, comunque, è ritornato a Cagliari proprio per sollecitare la conclusione dell'inchiesta: l'ontopsicologo, a dire il vero, ha anche avuto un colloquio informale (nulla è stato messo a verbale) con il magistrato durante il quale ha chiesto la rapida archiviazione del caso, in modo che egli possa regolarmente r iprendere la sua attività scientifica e didattica» (Il messaggero veneto, 24 Ottobre, 1991).

    Comunque da quel momento i giornali si misero alla ricerca di eventuali precedenti di Meneghetti e degli altri componenti la congrega e scoprirono diversi dati interessanti:

    nel 1978 era stato denunciato per reati contro la famiglia, contro la persona, per truffa, per furto, per detenzione di armi;
    nel 1984 denunciato per furto, per professione abusiva;
    nel 1987 denunciato per associazione a delinquere, per traffico di stupefacenti e per truffa.

    Inoltre nel 1979 viene arrestato, insieme a 12 suoi seguaci (tuttora a guida dell'AIO e delle sue diverse correnti) - più due latitanti, fra cui la famosa madrina della Furlan - con l'accusa di associazione a delinquere, concorso in usurpazione di titoli aggravata, concorso in esercizio abusivo continuato ed aggravato della professione medica, concorso in truffa aggravata e continuata, violenza carnale e atti di libidine consumati e tentati continuati, furto aggravato. Passeranno dietro le sbarre un po' di tempo e poi verranno scarcerati "per mancanza di indizi" (e non per "non aver commesso il fatto", come loro spesso asseriscono).

    Molte altre denunce e processi vengono intentati contro di lui, ma riesce quasi sempre a farla franca per decorrenza dei termini, o per prescrizione, o per ricusazione di magistrati.

    Il 26 giugno 1991 (quindi prima della morte della Furlan) viene pubblicato un interessante articolo su Repubblica dal titolo Il business si fa in Sette, dove viene descritta con dovizia di particolari l'attività del Meneghetti, i precedenti penali, la vera finalità dell'Ontopsicologia e morti strane verificatisi all'interno del gruppo.

    Naturalmente, come sempre avviene, gli ontopsicologi si mobilitano e denunciano Massimo Lugli, autore del famigerato articolo; si avvia il processo che si conclude in appello nell'ottobre 1998 con sentenza di assoluzione completa completa dell'articolista e dell'articolo incriminato e quindi con la conseguente messa in accusa degli ontopsicologi e di Tonino (a differenza di quello che si afferma nella Home page su Meneghetti): "hanno sistematicamente pagato con condanne e risarcimenti le loro "imprecisioni" giornalistiche".