Sentenza nella causa contro Meneghetti Antonio

Della Corte d'Appello di Cagliari - sez. Penale

MOTIVI IN FATTO E DIRITTO

Il pomeriggio del 2.1O.1991 si presentava nella casa campestre di XXX, situata a circa un chilometro di distanza dalla costa occidentale dell'isola di San Pietro, uno sconosciuto (si trattava di Meneghetti Antonio, che trascorreva in quella località un periodo di vacanza) il quale raccontava di avere poco prima fatto naufragio nelle vicinanze.

Forniti indumenti e ciabatte al Meneghetti, che era completamente nudo, il XXX lo indirizzava alla vicina abitazione dei coniugi XXX e XXX da cui il Meneghetti aveva la possibilità di segnalare telefonicamente ai CC. di Carloforte che la sua barca si era capovolta nelle acque della zona denominata La Caletta (o Spalmatore) e che una ragazza che si trovava con lui, Marina Furlan, caduta in mare, era scomparsa tra i flutti.

Mentre il Meneghetti e l' XXX si portavano sulla scogliera nella speranza di avvistare in acqua la Furlan, giungevano sul posto due motovedette della capitaneria di Porto e dei CC. partite da Carloforte.

Poichè il mare era grosso e agitato da un forte vento di maestro, la motovedetta dei CC. non riusciva a doppiare il capo Spalmatore che chiude, a sud, la zona della Caletta. La motovedetta della Capitaneria, superiore di stazza e dotata di motore più potente, riusciva invece a raggiungere e a esplorare, ma invano, lo specchio d'acqua racchiuso tra punta dei Cannoni, a nord, e punta Spalmatore, a sud, dove secondo le indicazioni del Meneghetti era avvenuto il naufragio.

Soltanto dopo le 16 era possibile scorgere il corpo della giovane, che galleggiava bocconi ad un centinaio di metri al largo della punta Fradellini, ancor più meridionale.

La Furlan, che ormai aveva cessato di vivere, veniva recuperata a fatica, date le cattive condizioni del mare, e quindi trasportata a terra. Il corpo, salvo due giubbini sovrapposti, era del tutto nudo. Successivamente, attraverso l'esame autoptico, si accertava che la morte era dovuta, escludendosi l'ipotesi di maleficio, ad asfissia da annegamento.

Quel pomeriggio si rinveniva inoltre la barca del Meneghetti (un leggero natante in vetroresina, con motore fuoribordo) che, trascinata dalla corrente, si era arenata contro la scogliera esistente, sempre lungo la costa occidentale dell'isola, poco più a nord di capo Spalmatore.

Per otto giorni, a partire dal 7 ottobre, i CC. del Nucleo Subacquei di Cagliari compivano numerose immersioni nel luogo del naufragio, situato in corrispondenza di una secca, e rinvenivano nel fondale, a circa 5 metri di profondità, la scaletta, alcuni frammenti di scafo e un coltello da cucina, ma non l'ancora del natante. Ricuperavano invece tra gli scogli un asciugamani e degli slip da donna.

In esito alle indagini preliminari, con decreto 28.1.93 il Meneghetti veniva citato a giudizio nanti il Pretore di Cagliari (XXX), quale imputato di omicidio colposo. Gli si addebitava infatti di avere, per colpa, cagionato la morte della Furlan, avvenuta per asfissia da annegamento in seguito alla caduta in mare dalla imbarcazione che la ospitava, capovolta dal moto ondoso.

In particolare, secondo l'accusa, la colpa era consistita in negligenza, imprudenza e imperizia perché il Meneghetti, alla guida del natante di sua proprietà, di metri 4,5O e con motore fuoribordo di 25 cv, aveva intrapreso la navigazione nonostante le cattive condizioni del mare e la inidoneità dell'imbarcazione, la cui stabilità era garantita soltanto da condizioni di mare calmo; ed aveva inoltre scelto una rotta che comportava il passaggio in prossimità di una secca, con conseguente aumento del moto ondoso, abbandonando poi la Furlan, proiettata in mare in seguito al capovolgimento della barca.

Al dibattimento, costituitasi parte civile i genitori, la sorella e la nonna della vittima e citata quale responsabile civile la XXX Assicurazioni S.p.A., l'imputato, nel corso del suo esame, respingeva i menzionati addebiti di colpa.

Il Meneghetti premetteva che si trovava in ferie dai primi di settembre nella sua casa di Calafico, località costiera nord-occidentale dell'isola, ove la Furlan, che conosceva da parecchi anni e con la quale in passato aveva intrattenuto una relazione sentimentale, era sua ospite, assieme ad altri giovani. Dovendo l'indomani partire per il Continente, il pomeriggio del 2 ottobre, verso le 14, con la Furlan, che aveva chiesto di accompagnarlo, era salpato con la sua barca da Calafico per raggiungere, costeggiando a ovest il deposito di rimessaggio di natanti gestito da XXX, situato lungo la costa orientale, ove secondo accordi presi la mattina, aveva deciso di ricoverare l'imbarcazione durante la stagione invernale.

Sia all'atto della partenza sia lungo il tragitto, quando si era tuffato accanto alla riva per raccogliere dal fondo dei sassi variopinti che erano piaciuti alla ragazza, il mare era abbastanza calmo. Del pari era calmo quando a Spalmatore, in un punto distante circa 800 metri dalla costa (che ignorava corrispondesse a una secca), si era di nuovo fermato e tuffato una seconda volta per fare il bagno; in questa occasione completamente nudo poiché gli slip intrisi di salsedine gli creavano fastidi allergici. La Furlan, che indossava pantaloni lunghi e scarpe da tennis, con alla vita l'asciugamani poi recuperato dai sub, era rimasta sulla barca da cui, dopo averla ancorata al fondo, era calato in acqua servendosi dell'apposita scaletta.

Mentre nuotava, aveva notato la giovane che, avviato il motore e maneggiando il timone, si allontanava verso il largo nonostante che, urlando, egli cercasse di dissuaderla. Inopinatamente e all'improvviso si era in quel momento formata un'onda crestata, alta e impetuosa, che aveva travolto la barca, ribaltandola, e scaraventato in acqua la Furlan. Essendo costei una nuotatrice poco esperta e notandola in difficoltà, egli le aveva gettato la tanica vuota e un giubbotto salvagente per reggersi a galla. Quindi l'aveva raggiunta afferrandola, ma una seconda ondata di notevoli dimensioni li aveva separati, stordendolo. Era seguito poi un terzo poderoso frangente sicché, per soccorrere la ragazza, aveva deciso di raggiungere la barca che si allontanava per prelevare una cima da assicurare all'elica e, per l'altro capo, al corpo della Furlan. Non gli era però stato possibile attuare tale proposito perché la giovane era purtroppo nel frattempo scomparsa alla sua vista. Infine, lasciandosi trascinare dalla corrente, era riuscito a raggiungere la costa rocciosa. Agli atti si allegava il verbale delle dichiarazioni rese dal Meneghetti al P.M., sostanzialmente conformi a quelle esposte, salvo alcune difformità ravvisabili nella descrizione dell'attività da lui svolta nel tentativo di soccorrere la Furlan.

Nell'immediatezza del fatto il Meneghetti aveva invece, in tre distinte occasioni, riferito al Brig. CC. XXX, all'Appuntato XXX e al XXX XXX che, quando con la Furlan era arrivato all'altezza della secca, un'ondata aveva investito la barca, rovesciandola e determinando la caduta in mare di entrambi.

La teste a difesa XXX (la famosa madrina della Furlan nda), amica del Meneghetti e della Furlan, giunta a Carloforte il giorno successivo al sinistro, precisava di avere visto (scattando anche alcune fotografie, che si acquisivano agli atti) formarsi sulla secca in questione, in modo improvviso, e col mare relativamente calmo - a intermittenza - una serie di alti frangenti. Al riguardo, l'App.to CC. XXX, esperto della località, affermava che delle onde si formavano in corrispondenza della secca, anche col mare piatto, allorquando al largo incrociava una nave di grosse dimensioni. il fenomeno risultava poi documentato, oltre che da filmati prodotti dalla difesa, dalle fotografie allegate alla consulenza tecnica dell'lng. XXX, relativa alle cause e alle modalità del naufragio, scattate in una giornata meno ventosa di quella del 2.10.91.

Il XXX, sia nella relazione scritta sia in udienza precisava che la barca dell'imputato era sufficientemente stabile col mare calmo ed a velocità moderata; non altrettanto se l'acqua era agitata ovvero in caso di andatura sostenuta. Aveva inoltre stabilito, poiché si era storto il cavetto della chiave di avviamento infilata nel quadro di accensione e per la presenza di acqua nei pistoni, che all'atto dell'incidente il motore del natante era in movimento e che la sua velocità, non essendosi storte le bielle, doveva essere contenuta. Essendo quel pomeriggio il mare grosso, con onde frequenti, alte e crestate di spuma, era poi impossibile o comunque arduo, per chi - come il Meneghetti - procedesse seguendo il moto ondoso, avvedersi della presenza della secca, invece facilmente apprezzabile, in quanto segnalata dai frangenti, in condizioni di mare meno agitato (come quelle del giorno in cui aveva scattato le fotografie).

Il Pretore disattendeva l'assunto difensivo dell'imputato.

Quanto al formarsi di marosi in corrispondenza della secca rilevava che il fenomeno, anche se si manifestava all'improvviso, era tutt'altro che imprevedibile ed eccezionale perché normalmente si verifica laddove il fondale è molto più superficiale rispetto a quello, più profondo, che lo circonda; e perciò inidoneo a escludere il rapporto di causalità tra la condotta del Meneghetti e l'evento conseguitone. Tale condotta era stata poi improntata a macroscopica negligenza e imprudenza perché l'imputato aveva affrontato la navigazione, lungo una rotta che non conosceva, senza prima adottare l'elementare cautela di consultare una carta nautica relativa alle caratteristiche del mare in prossimità della costa. E soprattutto si era posto alla guida di un'imbarcazione, trasportandovi la Furlan, che sapeva essere nuotatrice alquanto mediocre, in una situazione meteomarina avversa e proibitiva, specie se rapportata alla struttura di un natante del tutto inadatto, perché leggero e instabile, a sopportare la furia del mare, fortemente agitato.

In particolare, il giudicante riteneva inverosimile che il Meneghetti, non molto prima immersosi per raccattare dei sassi accanto alla riva, avesse sentito la necessità o il desiderio di fare il bagno nel mare sferzato dal vento e ingrossato dalle onde, ben sapendo tra l'altro che era in ritardo perché gli altri suoi ospiti, ai quali aveva fissato appuntamento per le 15, lo attendevano presso il rimessaggio del XXX; e si fosse a tal fine denudato per scongiurare allergie causate dal contatto degli slip bagnati. Evidenziava inoltre che la Furlan, per quanto spericolata e amante del rischio (come descritta dalla XXX), ben difficilmente avrebbe osato avviare il motore e spostarsi verso il largo, essendo incapace di guidare l'imbarcazione, entro la quale era sballottata dai marosi, tanto che nel suo corpo furono rilevate ecchimosi ed escoriazioni causati dai continui urti contro lo scafo.

Osservava infine che le minuziose e reiterate ricerche effettuate nel luogo del naufragio dai sommozzatori non avevano consentito di ricuperare l'ancora; che, se realmente utilizzata, si sarebbe di certo rinvenuta, anche perché resa ben visibile dalla cima cui era assicurata, nel fondale della secca.

La tragica vicenda si era pertanto sicuramente svolta in conformità alla versione inizialmente fornita dallo stesso Meneghetti; opinandosi che costui - d'accordo con la Furlan - avesse intrapreso la navigazione allo scopo di isolarsi assieme alla giovane per avere con la stessa rapporti sessuali all'insaputa degli altri suoi ospiti, in particolare di XXX, fidanzato della Furlan. A tal fine entrambi si erano spogliati e cercavano o avevano cercato invano, allorquando avvenne il naufragio, di trovare lungo la costa un posto riparato, anche dagli agenti atmosferici, per appartarsi in tranquillità.

In base alle esposte considerazioni il Pretore, con sentenza 4.11.93, affermava la responsabilità del Meneghetti in ordine al reato ascrittogli e, con il concorso di circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di un anno e otto mesi dì reclusione e, in solido col responsabile civile, al risarcimento del danno da liquidarsi con separato giudizio, a favore delle parti civili, alle quali assegnava a titolo di provvisionale tre milioni di lire per la nonna e dieci milioni ciascuno per i genitori e la sorella della vittima. Concedeva i benefici di cui agli art.163 e 175 C.P., subordinando peraltro quello della sospensione condizionale della pena al pagamento delle provvisionali entro un mese dalla data di irrevocabilità della pronuncia. Avverso detta sentenza hanno proposto appello l'imputato, la responsabile civile e le parti civili. Nell'interesse del Meneghetti, il difensore invoca l'assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, in via principale cc art.530 n.1 e in subordine ex art.530 n.2 C.P.P.; ovvero, in ulteriore subordine, la riduzione della pena al minimo e l'esclusione della condizione cui è stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale; con eventuale rinnovazione del dibattimento per accertare se in concomitanza del sinistro fossero transitate navi di rilevante stazza al largo della costa e se altri natanti, presenti nelle vicinanze, avessero segnalato di trovarsi in difficoltà.

Per la responsabile civile si sollecita preliminarmente l'esame testimoniale della dott.ssa XXX, circa i rapporti, che si assume fossero di completo disaccordo, tra la Furlan e i familiari della stessa. In via principale si chiede l'assoluzione per mancanza del nesso causale tra la condotta (incolpevole) del Meneghetti e l'evento prodottosi; ovvero, in subordine, il riconoscimento che a determinarlo concorse la condotta imprudente della vittima. Si sollecita, comunque, la legittimazione attiva delle parti civili costituite, in ordine alle pretese risarcitorie formulate, alle quali - in totale assenza della prova relativa alla sussistenza di danni patrimoniali e non patrimoniali - non doveva assegnarsi alcuna somma a titolo di provvisionale.

Le parti civili, infine, la lamentano l'esiguità degli importi delle provvisionali accordate e, avuto riguardo ai loro stretti rapporti di parentela con la vittima ed alle fondate aspettative che in essa riponevano (specie i genitori), essendo la Furlan in possesso di laurea e in procinto di conseguirne un'altra, chiedono che detti importi siano congruamente aumentati nella misura di 5O milioni di lire per la sorella, di 5O milioni di lire per la nonna e di 100 milioni di Lire per ciascuno dei genitori di Marina Furlan.

A sostegno delle richieste di assoluzione, formulate dai difensori dell'imputato e della responsabile civile, si deduce anzitutto che non sarebbe ravvisabile il rapporto eziologico, indispensabile a integrare l'elemento oggettivo del reato, tra la condotta del Meneghetti e l'evento. Questo fu infatti causato dal fenomeno del formarsi di alte improvvise anomale ondate in corrispondenza della secca.. Erroneamente pertanto il Pretore non avrebbe ad esso attribuito i caratteri della imprevedibilità ed eccezionalità sugli inesatti rilievi che il Meneghetti era profondo conoscitore delle coste e del mare dell'isola di San Pietro e che, se non conosceva le insidie della rotta, avrebbe dovuto comunque accertarsi, consultando una carta nautica, delle condizioni del fondale.

Tali rilievi sarebbero infondati giacché l'imputato ebbe a precisare di essere esperto unicamente del tratto di mare compreso tra Calafico e capo Sandalo, ove era solito praticare la pesca, né avrebbe potuto apprezzare la presenza della secca, perché non indicata nelle carte nautiche. Si contesta poi che il mare fosse agitato durante il tragitto compiuto dal Meneghetti, da Calafico fino al momento dei naufragio, che altrimenti la barca non sarebbe potuta giungere fino all'altezza della secca.

A riprova di tale assunto il difensore dell'imputato richiama la testimonianza di XXX, il quale fin dalla mattina era infatti riuscito senza inconvenienti, a bordo di un gozzo, a esercitare la pesca a strascico nelle acque di punta Fradellini, raggiunta con partenza da Carloforte, e che aveva coadiuvato l'equipaggio della motovedetta della Capitaneria a ricuperare il cadavere della Furlan. Si sostiene inoltre, avendo costui precisato di essersi avvisto delle condizioni avverse del mare solo verso le 15, che prima di tale ora l'acqua era realmente calma.

Doveva dunque considerarsi affatto plausibile il racconto del Meneghetti, relativo alla immersione effettuata, servendosi dell'apposita scaletta (che fu rinvenuta sul fondo) per fare il bagno, ed all'inopinato avviamento del motore da parte della Furlan, che aveva determinato lo spostamento e, unitamente alle contemporanee ondate improvvise formatesi sulla secca, il ribaltamento del natante. La rinnovazione parziale del dibattimento viene in proposito sollecitata proprio ai fine di accertare, in base alla richiamata testimonianza dell'Appuntato, se in concomitanza col sinistro fosse transitato al largo un naviglio di notevole mole e fossero pervenute in quel tomo di tempo richieste di soccorso da imbarcazioni in difficoltà nelle acque di Spalmatore.

Si contesta altresì che il Meneghetti e la Furlan si fossero liberati degli indumenti per addivenire a rapporti sessuali, essendo la relativa congettura, oltre che illogica, avulsa da qualsivoglia riscontro probatorio.

In ogni caso sarebbe illegittima l'allegazione al fascicolo del dibattimento del verbale delle dichiarazioni rese al P.M. dal Meneghetti, essendosi proceduto in udienza all'esame dell'imputato; nonché della relazione del C.T. perché discostatosi, nelle osservazioni, rilievi e giudizi in essa contenuti, dai limiti dell'incarico affidatogli.

Osserva la Corte che le richieste di pronuncia assolutoria non possono trovare accoglimento. Si condividono invero, in sostanza, le dianzi esposte considerazioni e gli argomenti svolti nella sentenza appellata, in base ai quali, puntualmente apprezzandosi le acquisite risultanze, è stata affermata la responsabilità dell'imputato in ordine al contestato delitto.

Deve preliminarmente premettersi che non sussiste la pretesa illegittimità delle menzionate acquisizioni. È' da escludere infatti che il C.T. abbia esorbitato dall'incarico conferitogli, essendosi limitato, in conformità ad esso, a descrivere quali dovettero essere le modalità del sinistro. D'altronde è lo stesso difensore appellante che si richiama alle valutazioni del C.T. per sostenere la tesi prospettata dal Meneghetti.

Il verbale delle dichiarazioni da costui rese nel corso delle indagini preliminari, peraltro conformi a quelle dibattimentali, è stato del pari correttamente acquisito a seguito delle contestazioni, concernenti contrasti ravvisabili in merito all'esposizione, da parte dell'imputato, dell'attività dallo stesso dispiegata nel tentativo di trarre in salvo la Furlan, che peraltro non assumono alcun rilievo in relazione al giudizio di colpevolezza.

Ciò posto, è assolutamente certo - al contrario di quanto si assume nei motivi di gravame - che fin dalla mattina e per tutta la giornata del 2.10.91 le condizioni del mare erano avverse alla navigazione lungo la costa nord-occidentale dell'isola di San Pietro, continuamente da vari giorni sferzata da un forte e teso vento di maestrale.

Tanto è emerso dalle concordi deposizioni rese al riguardo da tutti coloro che subito dopo il naufragio si attivarono per ricercare il corpo della Furlan, nella speranza di poterla soccorrere. Proprio in considerazione delle proibitive condizioni del mare era stato omesso un servizio di vigilanza che i CC., prima di ricevere la segnalazione del sinistro, avrebbero dovuto svolgere in quelle acque a bordo della loro motovedetta; che in seguito non fu in grado, a causa degli alti e violenti marosi, come si è precisato, di doppiare capo Spalmatore per portarsi nel luogo del naufragio.

Tale manovra riuscì invece alla motovedetta della Capitaneria, più grossa (32 tonnellate di stazza) e dotata di motore da 150 cv, che perlustrò invano la zona. Una volta avvistato più a sud il cadavere della Furlan - all'altezza di punta Fradellini (v. carta a f.7), la stessa motovedetta ebbe difficoltà, a causa del forte rollio e del beccheggio, a ricuperarlo e issarlo a bordo.

L'operazione, protrattasi per circa due ore, fu condotta a termine grazie all'intervento dell'imbarcazione del pescatore XXX, che agì protetto opportunamente dal vento dalla motovedetta postasi di traverso. La situazione di mare grosso esisteva fin dalla mattina, e proprio perciò, nelle ore antimeridiane, XXX, dipendente del XXX, cercò di dissuadere il Meneghetti dall'affrontare la navigazione per portare la barca al rimessaggio. Ed il teste XXX, che verso le 14,30 notò la coppia in procinto di imbarcarsi, ha ricordato di essersi stupito per la temerarietà che i due manifestavano nell'affrontare il mare agitato a bordo del leggero natante.

Prescindendo comunque dalle testimonianze, la forza del vento e del mare di quel giorno è documentata dal diagramma in atti (tracciato dell'anenometro elettrico). Alle 12,45 locali il vento soffiava alla à di circa 30 nodi (cc.20-23), con corrispondente forza 5/6 del mare, percorso da onde grosse e frequenti (c.d.: "cavalloni"), le cui creste di schiuma bianca erano pertanto ovunque estese (v. scala Beaufort a cc. 24).

A nulla rileva dunque che non prima delle 15 l'XXX si sia accorto della pericolosa situazione, anche perché il teste era impegnato nella pesca a strascico in un tratto di mare (capo Fradellini) più al riparo, rispetto a Spalmatore, dal vento NW. Appare pertanto pienamente provata la condotta oltremodo incauta e imprudente del Meneghetti che, nelle descritte condizioni, si pose in navigazione a bordo di un natante, la cui conformazione, peso (appena 300 Kg.), e caratteristiche di scafo offriva garanzie di stabilità soltanto in acque calme e a bassa velocità.

Né vale obiettare che il Meneghetti aveva navigato senza incidenti da Calafico a Spalmatore, per inferire da ciò che il mare doveva essere calmo e dunque prudente il comportamento dell'imputato; giacché il sinistro, consistito nel capovolgimento del natante, fortunatamente scongiurato fino a quando non avvenne, si avverò proprio a causa delle proibitive condizioni del mare correlate a quelle di propria stabilità dell'imbarcazione, che non resse alla violenza dei frangenti che si abbattevano sulla secca. In proposito giova rimarcare a carico dell'imputato un secondo elemento di colpa - non meno grave dell'avere costui affrontato il mare fortemente agitato su una barca leggera e instabile - giacché il Meneghetti navigò lungo una rotta che gli era sconosciuta senza prima accertarsi delle caratteristiche del fondale e quindi dei pericoli che poteva correre procedendo in prossimità della costa, come quello costituito della presenza della secca nella quale incappò.

Invero avrebbe al riguardo potuto e dovuto assumere opportune informazioni da persone esperte della zona ovvero consultare una carta nautica indicante con chiarezza le varie profondità (come quella allegata a cc.7, ove è agevole individuare la secca, ricoperta da metri 4,5 di acqua e circondata da mare profondo dai 34 ai 41 mt.). Purtroppo il Meneghetti non fu neppure in grado di avvedersi tempestivamente dell'insidia derivante dall'anomalia del fondo in quanto, procedendo il natante nella stessa direzione del moto ondoso, i pericolosi frangenti che si formavano sulla secca si confondevano tra i flutti crestati di schiuma sollevati dal vento davanti alla barca (v. consulenza tecnica e dichiarazioni del C.T.).

Le considerazioni che precedono, unitamente a quelle già precisate, svolte nella sentenza impugnata, inducono infatti a escludere con certezza che la barca fosse ancorata al fondo allorquando si capovolse, e quindi che il Meneghetti si fosse nel frattempo calato in acqua per fare il bagno mentre la Furlan avrebbe agito incautamente avviando il motore e manovrando il timone del natante.

Poiché il sinistro si verificò; mentre l'instabile imbarcazione condotta dall'imputato procedeva lungo una rotta a costui del tutto ignota nel mare percorso da alte ondate, appare per un verso destituito di fondamento l'assunto relativo alla pretesa mancanza del rapporto di causalità tra la condotta del Meneghetti e l'evento; e per altro verso affatto inutile l'accertamento istruttorio sollecitato dalla difesa. Vale peraltro rilevare in proposito (avuto riguardo alla descritta situazione meteomarina) che le mancate richieste di soccorso da parte di altre imbarcazioni non implicano che il mare fosse calmo, ma soltanto che, se presenti nella zona, tali imbarcazioni, per la loro particolare struttura idonea a sopportare il mare agitato, non versavano in condizioni di pericolo.

L'Appuntato XXX poi, in ordine alle increspature che possono notarsi in corrispondenza della secca in caso di transito di una nave al largo, ha fatto riferimento (cc.165 retro) a una situazione di mare relativamente calmo, cioè del tutto diversa da quella esistente il pomeriggio del 2.1O.91. Deve infine rimarcarsi - in ciò dissentendosi dalla congetture del primo giudice - che il Meneghetti e la Furlan furono privati rispettivamente del tutto e in parte dei loro indumenti per effetto del risucchio delle violente ondate e della forza della corrente. Quello della denudazione è invero un fenomeno comunemente riscontrabile nelle persone annegate o che comunque permangono per un tempo apprezzabile in balia dei flutti.

Pur dovendosi ribadire che il grado della colpa fu elevato, si reputa tuttavia conforme a giustizia - concretamente valutati anche gli altri criteri enunciati dalI'art.133 C.P. - ridurre la pena inflitta al Meneghetti a mesi dieci di reclusione (p.b. anni 1 e mesi 3, diminuita di un terzo ex art.62 bis C.P.). Non si ravvisa inoltre, né è stata enunciata, alcuna ragione che induca a subordinare, concesso beneficio della sospensione condizionale al pagamento delle provvisionali.

Gli stessi vincoli di parentela che legavano alla vittima la nonna, la sorella e i genitori, giustificano le pretese risarcitorie da costoro fatte valere mediante la costituzione di parte civile. Tali pretese attengono quanto meno al danno morale, che indubbiamente sussiste, quali che fossero i rapporti tra la Furlan e i congiunti. Esattamente dunque - in attesa che in separata sede si addivenga alla determinazione concernente la complessiva entità del pregiudizio economico patito, anche attraverso la testimonianza della XXX, che non è necessario assumere nel presente giudizio - sono state assegnate le provvisionali, la cui misura peraltro, al contrario di quanto assumono le parti civili appellanti, appare affatto congrua.

Quanto al capo della sentenza appellata concernente i danni derivati dal reato, deve inoltre rilevarsi che l'avvenuto pagamento alle parti civili della somma di 183.000.000 di lire, comprensiva delle provvisionali (anche perciò deve venir meno la condizione apposta al beneficio di cui all'art.163 c.p.), effettuato dalla responsabile civile, accettato come acconto e relativo al "quantum", da determinarsi in separato giudizio, non comporta l'estromissione delle parti civili, sollecitato all'odierna udienza dalla "XXX Assicurazioni".

È' da escludere infine che alla causazione dell'evento abbia contribuito la condotta della vittima, la quale accettò d'essere trasportata sull'imbarcazione confidando nelle capacità, di affrontare il mare e di condurla, del Meneghetti. Ai sensi dell'art.592 C.P.P., le parti civili sono condannate, in solido con la responsabile civile, al pagamento delle spese processuali relative a questo grado del giudizio. Anche il Meneghetti è condannato in sordo con la responsabile civile al rimborso delle ulteriori spese sostenute dalle parti civili, liquidate come in dispositivo, che per giusti e fondati motivi (mancato accoglimento delle richieste formulate dai danneggiati) si compensano nella misura di un terzo (art. 541 C.P.P.)

P. Q. M.

LA CORTE

Visti gli artt.605-592-541 C.P.P.;

In parziale riforma della sentenza impugnata, riduce la pena inflitta a Meneghetti Antonio a mesi dieci di reclusione, escludendo la condizione cui è stato subordinato il beneficio della sospensione condizionale. Conferma nel resto e condanna le parti civili e la responsabile civile "XXX Assicurazioni S.p.A"., in solido tra loro, alle spese di questo grado del giudizio. Dichiara compensate nella misura di un terzo le spese di parte civile e condanna il Meneghetti, in solido con la predetta società, alla rifusione dei restanti due terzi, che liquida in lire 1.500.000 in favore di XXX ed in lire 4.000.000 per ciascuna delle altre parti civili.

Cagliari, 18 gennaio 1996