Tribunale penale di Roma: sentenza del 25 gennaio 1993
Motivi della decisione


Con decreto del 12 ottobre 1972 il Giudice per le indagini preliminari in sede disponeva il rinvio a giudizio dinanzi a questo Tribunale di Lugli Massimo e XXX per rispondere dei reati loro rispettivamente ascritti in epigrafe. Al dibattimento, celebrato in presenza del Lugli e in contumacia di XXX, sono state assunte le prove testimoniali ed acquisite quelle documentali richieste dalle parti ed ammesse dal Tribunale si è proceduto, su richiesta delle parti, all'esame delle parti offese, ritualmente costituite parti civili, nonché dell'imputato Lugli.

All'esito - respinte le ulteriori istanze istruttorie della difesa degli imputati - il P. M. ha concluso per la condanna di Lugli Massimo alla pena di lire 1.200.000 di multa, ritenuta la continuazione e concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante; e di XXX alla pena di lire 800.000 di multa ritenuta l'unicità del fatto e concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante.

La difesa della parte civile Meneghetti Antonio ha chiesto la condanna degli imputati alle pene di giustizia ed al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede oltre alla rifusione delle spese indicate nella nota scritta.

La difesa della parte civile Lorenzini Loretta ha formulato analoghe conclusioni ed ha richiesto altresì la liquidazione, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, della somma di lire 50.000.000 o quella determinata secondo equità; la condanna degli imputati, in solido, al pagamento della somma di lire 30.000.000 o di quella determinata secondo equità, a titolo di riparazione pecuniaria ex art.12 I stampa; la pubblicazione a spese dei prevenuti per una volta e per esteso sul quotidiano "la Repubblica" della sentenza di condanna, ed infine la condanna degli imputati, in solido, alla rifusione delle spese indicate in lire 3.000.000 oltre I.V.A..

Gli elementi di prova offerti al vaglio del Tribunale consentono di ritenere dimostrata la responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro ascritti.

Con distinte querele presentate il 29.7.1991 alla Procura della Repubblica di Roma, Meneghetti Antonio - in proprio e nella qualità di presidente dell' Associazione internazionale di Ontopsicologia - e la moglie Lorenzini Loretta si dolevano per il contenuto falso e lesivo della propria reputazione personale e professionale, di un articolo pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" del 26.6.1991 con il titolo "Il business si fa in sette; storie di ex frati, soldi e belle donne; quegli ontopsicologi passati indenni nelle aule giudiziarie che continuano a fare proseliti e miliardi".

Specificamente i querelanti consideravano gravemente offensive le espressioni con cui l'autore, il giornalista Lugli Massimo, aveva descritto l'Ontopsicologia, definita "un credo che oscilla tra la pseudoscientificità e l'esorcismo, tra la psicologia e la religione con tendenze demoniache, mentre il Meneghetti - indicato come fondatore dell'omonima associazione - era definito "un santone" ed alla moglie era attribuito falsamente un passato di ex suora.

Si dolevano altresì i querelanti della capziosa cronistoria delle loro vicende giudiziarie, in quanto il giornalista aveva omesso di specificare che il procedimento penale iniziato nel 1981 si concluse con il proscioglimento in istruttoria per insussistenza del fatto, e aveva riferito poi di un'inchiesta avviata nel 1937 dalla Squadra Mobile romana, conclusa con una denuncia all'autorità giudiziaria per i reati di associazione a delinquere, truffa e spaccio di stupefacenti, di cui essi non avevano avuto notizia.

Infine il Meneghetti contestava, come priva di fondamento, la vicenda di tali "Ezio" e "Sofia" raccontata dal giornalista come esempio emblematico degli effetti negativi prodotti dalle terapie messe in atto dalla "setta" degli ontopsicologi capeggiata dal Meneghetti e che, attraverso pesanti manipolazioni caratteriali, inducevano i pazienti ad abbandonare le famiglie.

La nutrita produzione documentale offerta dalla difesa delle parti civili ed acquisita dal Tribunale, nonché le dichiarazioni rese al dibattimento dal Meneghetti e dalla Lorenzini, hanno messo in luce non solo l'elevato e specifico livello culturale e professionale dei predetti, ma anche i numerosi e qualificati riconoscimenti ufficiali dell'attività svolta dall'associazione internazionale di ontopsicologia fondata dal Meneghetti. Ritiene tuttavia il Collegio che tali emergenze non siano di per sé idonee a delegittimare il diritto di critica esercitato dal Lugli il quale - nell'ambito di una più ampia inchiesta sulle sette religiose e parascientifiche sviluppatesi in Italia negli ultimi anni - ha inteso presentare ai lettori in chiave negativa il fenomeno dell'Ontopsicologia, evidenziando fatti tendenti a negare la sua serietà e scientificità ed a sottolineare viceversa la finalità preminente di. lucro perseguita dall'associazione presieduta dal Meneghetti.

Al fine di valutare se il giornalista abbia agito nei limiti del diritto di critica occorre innanzitutto accertare l'attendibilità dei fatti esposti a sostegno dell'immagine - oggettivamente screditata e per certi versi addirittura allarmante - che degli ontopsicologi ed in particolare del Meneghetti e della moglie è stata presentata ai lettori. Va innanzitutto rilevato che sulla consistenza patrimoniale attribuita a l'"Ontopsicologia" e alla coppia Meneghetti-Lorenzini, nulla hanno obiettato le parti civili. sicché è da presumere che la meticolosa descrizione dei beni immobiliari e delle attività facenti capo ai predetti soggetti. sia fedele alla realtà.

Sulla ricostruzione delle vicende giudiziarie della coppia e degli altri esponenti di spicco dell'associazione - (non indicati questi nominativamente), la difesa degli imputati ha opportunamente prodotto i provvedimenti giudiziari che ne hanno scandito le varie fasi, ed ha indotto la testimonianza del dottor XXX, all'epoca vice dirigente della Squadra Mobile di Roma, che nel 1987 diresse le indagini il cui esito confluì nel racconto giudiziario menzionato nell'articolo. Orbene il tenore e la sequenza dei provvedimenti giudiziari esaminati (fll.17-21-27-34-53-55-64 atti dibatt.) è già di per se sufficiente a far ritenere sostanzialmente conforme a verità l'excursus giudiziario descritto dal Lugli. Effettivamente il 25.5.1991 il sostituto Procuratore della repubblica di Roma dott. XXX emise ordine di cattura nei confronti del Meneghetti. della Lorenzini e di altri quattro imputati per i reati di associazione a delinquere, usurpazione di titoli, esercizio abusivo della professione medica, truffa aggravata e, per il Meneghetti anche di violenza carnale ed atti di libidine violenti.

Il 23.6.1981 il giudice istruttore dott. XXX ordinò la scarcerazione degli imputati per mancanza di indizi, e l'impugnazione proposta dal sostituto Procuratore della Repubblica fu accolto con riferimento alla posizione del Meneghetti dalla sezione istruttoria della Corte di Appello di Roma, che con ordinanza del 23.11.1981 dispose il ripristino della custodia cautelare in carcere del predetto per i reati di truffa aggravata, violenza carnale ed atti di libidine violenti e di furto aggravato.

Con sentenza-ordinanza del 23.3.1984 il Giudice Istruttore XXX ordinò il rinvio a giudizio del Meneghetti per il reato di furto aggravato, che al dibattimento fu dichiarato estinto per prescrizione in concorso delle attenuanti generiche: prosciolse invece tutti gli imputati dal reato dl associazione a delinquere ed il Meneghetti anche da quelli di violenza carnale e atti di libidine violenti, per insussistenza del fatto e dichiarò amnistiati tutti gli altri reati contestati.

La doglianza espressa dai querelanti relativamente alla omessa indicazione della formula di proscioglimento "perché il fatto non sussiste" adottata dal Giudice Istruttore, e ad un preteso stravolgimento del giudizio di legittimità della Cassazione, appare del tutto infondata. Le omissioni ed imprecisioni denunciate non intaccano infatti il senso complessivo dell'informazione, tendente proprio ad enfatizzare il fatto che gli ontopsicologi "sono passati indenni nelle aule giudiziarie", e il passo dell'articolo riguardante l'esito del procedimento penale costituisce anzi una felice sintesi dell'effettivo contenuto dei provvedimenti emessi dal Giudice Istruttore.

Dal loro tenore si evince innanzitutto che nessuno dei fatti contestati al Meneghetti, alla Lorenzini e ai 3 loro coimputati, fu disconosciuto nella sua materialità ma, laddove non furono applicate cause estintive dei reati, si ritenne non provato il dolo dei collaboratori del Meneghetti per escludere l'associazione a delinquere, e lo stato di inferiorità psichica delle pazienti con cui il Meneghetti si era congiunto carnalmente.

Nelle argomentazioni del Giudice istruttore si coglie altresì un'impostazione prudenziale di fondo, tesa ed evitare giudizi e criminalizzazioni delle teorie e pratiche terapeutiche sostenute ed applicate dal Meneghetti e dai seguaci dell'Ontopsicologia, nell'ambito di una disciplina non codificata ed in continua evoluzione. Siffatta impostazione e le conseguenze giuridiche fatte scaturire nei provvedimenti menzionati, risultano vivacemente attaccate, sia nei motivi di impugnazione del sostituto Procuratore XXX, sia nell'ordinanza della sezione istruttoria che esplicitamente ritenne ingiustificata "la sospensione del giudizio espressa al riguardo dal Giudice Istruttore" poiché i fatti accertati avevano invece dimostrato che le pratiche psicoterapiche applicate dal Meneghetti e dai suoi seguaci, erano non solo pive di qualsiasi validità, ma addirittura aberranti, assurde ed estremamente dannose (cfr fll.45-48 atti dibatt.).

Se tali divergenti valutazioni fondate su altrettanto divergenti letture dei fatti accertati, non comportarono il riconoscimento di responsabilità penali nei confronti del Meneghetti e della Lorenzini, è tuttavia pienamente legittimo il comportamento del giornalista che senza stravolgere la realtà processuale si è fatto interprete critico delle verità sostanziali emerse attraverso i ricordati provvedimenti giudiziari.

Con riferimento all'inchiesta del 1987 la testimonianza del XXX ha poi ampiamente confermato l'attendibilità delle notizie riguardanti lo sviluppo delle indagini svolte dalla Squadra Mobile romana ed ai reati ipotizzati nel rapporto di denuncia, in cui effettivamente la Lorenzini veniva indicata come ex suora (cfr. fll. 10-11 atti dibatt.). Il fatto poi che il giornalista abbia condensato nell'espressione "ma anche allora l'inchiesta era destinata al dimenticatoio giudiziario" l'esito giudiziario di tale denuncia, consistito in un decreto di archiviazione emesso tre anni dopo (cfr. all. 15 fl. 14 atti dibatt. e esame Lorenzini), non rappresenta un travisamento della realtà incidente sulla reputazione dei querelanti né comunque - alla luce dell'impostazione complessiva dell'articolo - appare frutto di una consapevole volontà diffamatoria.

Dove invece il Lugli ha travalicato i limiti dell'obiettività e contenutezza dell'informazione e della critica, è nella parte in cui - allo scopo di dare concretezza ai giudizi denigratori espressi sull'attività svolta dal Meneghetti e dalla Lorenzini nell'ambito della "Ontopsicologia" - ha riportato episodi specifici, riguardanti presunte vittime delle pratiche psicoterapiche applicate dalla "setta" degli ontopsicologi, e che si sono rivelati privi di qualsiasi riscontro della loro veridicità.

La notizia dell'adepto che si sarebbe suicidato gettandosi sotto un treno il 29.7.1987 è stata riferita come facente parte del rapporto di denuncia dell'87 ma il dottor XXX non ne ha fatto menzione nel resoconto delle indagini svolto al dibattimento, né l'imputato ha provato di essersi fatto carico del controllo della notizia, pubblicata quattro anni dopo il fatto. In ogni caso essa risulta fornita in modo tale da suggerire al lettore un non verificato e quindi arbitrario collegamento del suicidio attuato dal presunto adepto dell'associazione, con le pratiche psicoterapeutiche applicate dagli ontopsicologi. Ancor più incisivo appare il racconto della storia di "Ezio e Sofia" che, con efficace dettaglio, illustra le progressive involuzioni della personalità nonché l'ostilità ed il distacco dalla famiglia, ingenerati nella donna attraverso le pratiche psicoanalitiche messe in atto dal gruppo del Meneghetti.

Anche tale episodio, contestato dai querelanti, è del tutto privo di riscontri e lo stesso imputato ha riferito che esso scaturì dalle confidenze fattegli da persone intimorite e suggestionate che avevano preteso di mantenere l'anonimato.

In tal modo il giornalista ha deliberatamente riportato un fatto oggettivamente grave ed allarmante, contravvenendo ai più elementari doveri di diligenza e prudenza che gli imponevano di verificare l'attendibilità dell'informazione e la serietà della fonte che, in quanto tutelata dall'anonimato, era inaffidabile e rimane praticamente incontrollabile. L'avere quindi attribuito al Meneghetti e indirettamente anche alla Lorenzini - il cui ruolo di spicco nelle attività dell'associazione emerge chiaramente dal tenore complessivo dell'articolo - fatti concreti e specifici, non accertati nella loro veridicità, e idonei a conferire più agevole credibilità alle opinioni ed agli epiteti oggettivamente offensivi della reputazione personale e professionale dei querelanti, integra soggettivamente ed oggettivamente i reati di diffamazione aggravata contestati al Lugli e che, in quanto commessi evidentemente in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, sono unificati dal vincolo della continuazione.

Conseguentemente va addebitato all'imputato XXX, direttore responsabile del quotidiano, l'inosservanza colpevole dello specifico obbligo giuridico di esercitare una positiva vigilanza sul contenuto del giornale per evitare che attraverso la pubblicazione siano commessi reati.

Trattandosi tuttavia dl una condotta omissiva unica i fatti contestati ai capi C) e D) sono unificati in un unico reato.

In considerazione della personalità degli imputati e del ridimensionamento dei fatti originariamente contestati, vanno riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante. Valutati tutti i criteri di cui all' art. 133 c.p., si stima equo irrogare a Lugli Massimo la pena di lire 1.200.000 di multa e a XXX quella di lire 800.000 di multa. Segue di diritto la condanna dei prevenuti, in solido al pagamento delle spese processuali.

A norma dell'art. 9 - I stampa -, segue altresì di diritto la pubblicazione gratuita dell'estratto della sentenza per una sola volta sul quotidiano 'La Repubblica'.

I reati commessi hanno sicuramente provocato alle parti offese un danno risarcibile a norma dell'art. 185 c. p..

Conseguentemente gli imputati sono condannati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e morali in favore delle parti civili ritualmente costituite, rinviando ad altra sede la liquidazione per difetto di elementi precisi di valutazione. Tuttavia, in favore di Lorenzini Loretta che ne ha fatto richiesta, va fin d'ora liquidata, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, la somma di Lire 10.000.000, ritenendosi per tale cifra già provata l'entità del danno, nonché la somma ulteriore di lire dieci milioni. a titolo di riparazione pecuniaria, tenuto conto del ridimensionamento della consistenza dell'offesa arrecata alla reputazione dei querelanti. Gli imputati vanno altresì condannati in solido alla rifusione delle spese di costituzione e difesa, sostenute dalle parti civili, e liquidate come da dispositivo.
 
 

Sentenza della Corte di Appello di Roma, del 7 ottobre 1998

XXX e Lugli Massimo, con sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 25.1.1993, venivano condannati, rispettivamente, alla pena di lire 800.000 e 1.200.000 di multa oltre al pagamento in solido delle spese processuali per i reati di cui in epigrafe. Alla condanna seguiva la pena accessoria della pubblicazione della sentenza e l'obbligo del risarcimento del danno alle parti civili Meneghetti Antonio e Lorenzini Loretta, da liquidarsi in separata sede, con assegnazione, in favore della Lorenzini, di una provvisionale per lire 10 milioni ed ulteriori 10 milioni, a titolo di riparazione pecuniaria. Venivano poste a carico solidale degli imputati, le spese di costituzione e difesa delle parti civili.

La sentenza operava un notevole ridimensionamento della ampiezza dell'originaria contestazione, ritenendo che nell'articolo pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" il 26.6.1991 con il titolo: "Il business si fa in Sette; storie di ex frati, soldi e belle donne; quegli ontopsicologi passati indenni nelle aule gjudiziarie che continuano a fare proseliti e miliardi", si fossero travalicati i limiti dell'obiettività e contenutezza dell'informazione e della critica solo nella parte in cui - allo scopo di dare contenuto ai giudizi espressi sulla attività svolta dal Meneghetti e dalla Lorenzini nell'ambito della "ontopsicologia" - il Lugli aveva riportato episodi specifici, riguardanti presunte vittime delle pratiche psicoterapiche applicate dalla "setta" degli ontopsicologi e che si erano rivelati privi di riscontro circa la loro veridicità.

In particolare la sentenza censurava in tal senso da un lato la notizia di un adepto della associazione - che si sarebbe suicidato, gettandosi sotto un treno, per la quale l'imputato non aveva provato di essersi fatto carico di controllarla, nonostante venisse fornita al lettore in modo da suggerire un non verificato ed arbitrario collegamento del suicidio con le pratiche psicoterapeutiche applicate dagli ontopsicologi. Dall'altro, si censurava il racconto dì "Ezio e Sofia", che illustrava le notevoli involuzioni prodottesi nella personalità della donna a seguito delle pratiche psicoanalitiche poste in essere dal gruppo del Meneghetti. tanto da spingerla alla ostilità ed al distacco dalla sua famiglia. Anche tale episodio, secondo il primo giudice, si presentava privo di riscontri nonostante rappresentasse un caso grave ed allarmante, tale, quindi, da integrare soggettivamente ed oggettivamente il reato di diffamazione aggravata.

Per conseguenza veniva addebitato allo XXX, nella sua qualità di direttore responsabile del quotidiano, l'inosservanza colpevole dello specifico obbligo di vigilanza sul contenuto dell'articolo, seppure unificando stante la condotta omissiva unica, le contestazioni relative ai due querelanti.

Con l'appello gli imputati rilevavano anzitutto che fatti specifici in relazione ai quali fondava l'affermazione della loro responsabilità, non erano idonei a menomare la stima di cui godevano i querelanti. Ciò perché la censura che da quelle storte poteva ritrarsi, incideva sulla validità terapeutica e morale dei metodi seguiti dagli ontopsicologi, intesi quale associazione, ma non sulla reputazione di ciascun aderente. In altri termini, il suicidio dell'adepto o la separazione tra Enzo e Sofia non erano stati addebitati dal Lugli al comportamento del Meneghetti o della Lorenzini, ma semmai, alla associazione degli ontopsicologi nel suo complesso che, tuttavia, non era minimamente individuata, nelle imputazioni, quale soggetto passivo dei reati contestati.

Sotto altro profilo gli appellanti rilevavano che il dibattimento aveva offerto numerosi elementi per confermare la veridicità dei due episodi ed, in particolare, gli atti del procedimento penale instaurata nei confronti del Meneghetti e della Lorenzini nel 1980; le dichiarazioni del teste XXX che aveva riferito dello stato di soggezione in cui versavano gli adepti, la oggettiva credibilità dell'episodio così come era stato riferito dal Lugli nel corso del suo esame. Su tali punti chiedevano una parziale rinnovazione del dibattimento al fine dì dimostrarne la fondatezza.

In via subordinata gli appellanti chiedevano una riduzione della pena; la revoca della concessa provvisionale ovvero la riduzione del suo ammontare.

La Corte di appello di Roma con sentenza del 20.41995, accoglieva solo in parte il gravame. In particolare, la citata sentenza, riduceva ulteriormente la portata diffamatoria dell'articolo in questione ritenendo che la parte in cui riferiva del suicidio di un adepto dell'associazione, avendo formato Oggetto di una inchiesta della Questura di Roma nel 1987 e quindi avendo trovato riscontro di veridicità - anche se il Lugli non aveva precisato l'esito favorevole, per l'associazione, del procedimento penale che ne era conseguito - non poteva ritenersi permeata da intento diffamatorio.

Per contro, la medesima decisione, affermava che l'articolo, nella parte in cui riferiva l'episodio "Ezio e Sofia" appariva deliberatamente denigratorio, in quanto addebitava alla associazione e, quindi, alle persone dei querelanti, che della associazione facevano parte come promotori ed organizzatori, la induzione di una donna, una volta perfetta madre e moglie, ad allontanarsi dalla famiglia ed a commettere atti delittuosi.

Sempre secondo la citata sentenza questa incontestabile valenza diffamatoria non poteva trovare giustificazione sulla base della esimente del diritto di cronaca, non essendo stata provata, da parte degli imputati, la corrispondenza tra i fatti effettivamente accaduti e quelli narrati. Veniva, in sostanza, rilevata la mancata prova, da parte degli imputati, della veridicità del fatto narrato nell'articolo.

La sentenza, quindi, riduceva la pena principale, riconoscendo la prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante. La Corte di Cassazione, alla quale ricorrevano gli imputati ribadendo le doglianze già proposte, ed in particolare il fatto che, non essendo stata accolta la richiesta di rinnovazione del dibattimento, non avevano avuto modo di provare la veridicità del fatto per il quale era intervenuta la condanna; che, in ogni caso, non era rimasta provata la valenza diffamatoria del fatto specifico relativo all'episodio di "Ezio e Sofia", accoglieva il ricorso, rilevando il vizio di motivazione e rinviava gli atti a questa Corte d'Appello chiedendo di valutare, in primo luogo "l'autonoma capacità offensiva del riferimento all'episodio in discorso, rispetto al contesto dell'articolo, ritenuto altrimenti ineccepibile".

In secondo luogo, il giudice di legittimità stabiliva che "qualora risolva (la Corte di Appello) il quesito ora detto in senso positivo, valuterà se il Lugli, mantenendo il segreto intorno a chi gli ha fornito la notizia specifica, tutelasse ragionevolmente la stessa riservatezza delle persone implicate nel fatto, e correlativamente se e come procedere agli accertamenti sollecitati, traendone l'implicazione decisiva".

Sulla base dei suesposti principi questo Collegio, risolto, come si dirà in appresso, in senso positivo, il quesito circa la capacità offensiva del riferimento all'episodio di "Ezio e Sofia" ha disposto, a parziale rinnovazione del dibattimento, la citazione del teste XXX, ascoltandolo nell'odierna udienza, presente l'imputato Lugli e contumace lo XXX.

All'esito le parti hanno concluso come in epigrafe.

Ritiene il Collegio che la prima valutazione richiesta dalla Corte remittente, in ordine alla capacità offensiva del riferimento all'episodio più volte citato nel contesto dell'articolo, non possa che risolversi in senso affermativo. Come potrebbe, del resto, non considerarsi offensivo, l'assunto, implicitamente contenuto nell'articolo, secondo il quale la pratica dell'ontopsicologia insegna che l'unica salvezza, per l'adepto, rispetto ai "forti" è rappresentata dalla "setta", nella quale questi deve rifugiarsi, abbandonando la famiglia, per evitare di essere privato della sua essenza vitale.

Ciò posto, ritiene il Collegio che, alla stregua delle risultanze del processo, possa ritenersi provata la veridicità del fatto riferito e che quindi la sua pubblicazione rientri nel legittimo diritto di cronaca.

Depongono in tal senso gli atti acquisiti al processo; le circostanze evidenziate dal teste XXX., e sia in primo grado, che di fronte a questo Collegio, a seguito della parziale riapertura dell'istruttoria dibattimentale; sia risultati dell'esame del Lugli, condotto in primo grado.

Dalla indagine giudiziaria, svolta nei confronti dei dirigenti della "Associazione internazionale di ontopsicologia" della quale il Meneghetti e la Lorenzini si sono dichiarati esponenti, è emerso che gli affiliati assumevano, progressivamente, atteggiamenti tali da portare all'abbandono delle rispettive famiglie, per trasferirsi a Roma per collaborare con il Meneghetti, presi da una ammirazione fideistica, quasi magnetica verso il "professore". Che il Meneghetti sosteneva che le più diverse malattie, comprese quelle dì carattere organico, sono causate da una sorta di fluido negativo sprigionato dai famigliari dei paziente, per cui, continuare a vivere nello stesso ambiente, è sufficiente per assorbirne la negatività. Ne deriva che, per salvarsi e guarire completamente, il paziente deve rompere ogni rapporto con la famiglia, allontanandosene, pena, in caso contrario, la compromissione irrimediabile delle sue condizioni psicofisiche (cfr. ordinanza Corte Appello Roma del 23. 11. 1981 in atti).

Questi dati erano certamente noti al Lugli, dato che questi si era documentato in modo approfondito sulle vicende giudiziarie della associazione del Meneghetti, tanto da farne oggetto di trattazione in altre parti dell'articolo incriminato, per cui dagli stessi egli deve necessariamente aver ritratto la consapevolezza della veridicità di quanto la fonte, sulla quale ha inteso mantenere il segreto professionale gli aveva riferito.

A ciò va aggiunto che il teste XXX, responsabile dell'indagine condotta sulla associazione nel 1987, ha riferito che quel nuovo filone inquisitorio aveva avuto origine proprio dalla denuncia di un episodio di abbandono famigliare analogo a quello descritto nell'articolo del Lugli. E' pacifico che il giornalista ha avuto contatti con il XXX e quindi di certo, avrà tratto dalle sue confidenze ulteriori elementi di conforto circa la veridicità della notizia relativa alla vicenda di Ezio e Sofia.

Deve poi considerarsi che il giornalista ha fornito in primo grado, nel corso del suo esame, una ricostruzione delle circostanze, in occasione delle quali è venuto a contatto con la fonte informativa, perfettamente plausibile. Il marito di Sofia, Ezio, appunto, dopo la pubblicazione dei primi articoli della sua inchiesta sui gruppi e sulle sette, aveva preso contatto con lui, riferendogli la sua vicenda, poi risultata, alla luce di quanto si è detto sopra, neppure tanto originale ma ritenuta dal Lugli meritevole di pubblicazione, dato che l'aveva appresa da una fonte diretta.

Nessuna meraviglia sembra possa sollevare il ricorso degli imputati al segreto professionale circa la effettiva identità dei protagonisti della vicenda, dato che lo stesso XXX nella sua veste di autore di una indagine di P.g., ha riferito di essersi frequentemente trovato di fronte a pervicaci rifiuti da parte di persone che avevano fatto parte dell'associazione di sottoscrivere quanto riferito oralmente sulla stessa, per timore di ritorsioni o altre conseguenze sfavorevoli.

Consegue da quanto detto che, ad avviso di questo Collegio appare accertata la veridicità della informazione pubblicata nell'articolo del Lugli e, quindi, risultando in tal modo il presupposto per la non punibilità previsto dall'art. 596 u.c. C.p., deve dichiararsi il non luogo a procedere nei confronti di entrambi gli imputati per tale causa.