Effetto ottico causato da un disegno in cui si vede una
donna che si specchia, ma visto da un'altra prospettiva
si può ravvisarvi un teschio, immagine di morte

PAESE SERA/CRONACA ROMA
mercoledì 13 maggio 1981

Una sera a lezione
con gli "zombies"

Che cosa accade quando il «Messia» illumina gli adepti con la sua dottrina

di EMILIO RANDON

IN PIAZZA Jacini, l'altra sera, ce n'erano una cinquantina. Ragazzi, ragazze, uomini maturi e donne fatte che alle 9 di sera avevano messo a letto i figli, lavato i piatti per assistere alla seduta del maestro. Si aggiravano davanti all'entrata dell'ex cinema Vigna Clara come fra loro stanno le persone costrette in una sala d'aspetto ferroviaria. Nessun cenno d'intesa, nessun saluto, niente che apparentemente accomunasse i discepoli di Meneghetti, eppure chiaramente, quelle persone fra loro si conoscevano come era altrettanto evidente che fra loro non c'era alcun rapporto che andasse oltre il comune legame con il "messia".

Sola e incantata quella piccola folla ne attendeva l'incarnazione e quando finalmente è arrivata un fremito ha attraversato la piazza: tacite, quelle anime, si sono levate insieme come passeri disturbati dal vento e, in frotta, sono scese giù per le scale che portano al cinema. Fuori nell'androne, sotto una croce celtica di ferro sono rimasti tre angeli custodi, grossi degli occhi immobili e freddi, come cani abituati a mordere senza posizione. «Desidera?». La domanda ci è stata fatta in un soffio, da vicino. L'aveva preannunciata un disagio nervoso, da branco. L'alieno, è stato subito individuato e chi scrive si è ritrovato addosso un paio di occhi ansiosi che somigliavano a quelli di un cappellano che sorprende in chiesa una donna discinta mentre il prete sta a far messa. «L'ho saputo in circoscrizione, è permesso assistere vero?». «Ma, veramente questa è una scuola privata - ha preso tempo il più vicino dei tre - attenda qui per cortesia». E sotto la croce celtica che un neon sembrava librare in aria è avvenuto un rapido conciliabolo alla fine del quale il verdetto è stato «se proprio insiste». A dir il vero noi non avevamo affatto insistito ma il frequentare le sette deve fare brutti scherzi anche agli affiliati se scambiano i cronisti per poliziotti.

Nella sala capace di 500 posti, gli adepti si sono disposti nell'ordine sparso con cui stavano fuori, una qua e uno là. Delle donne fra le file di poltrone si sentiva solo il fruscio delle sottane, qualcuna teneva dei libri sotto il braccio come studentesse, ma nessuno prenderà appunti in seguito. Degli uomini solo lo scalpiccio. Ma anche quello era finito da un pezzo quando il maestro prese la parola. Vestito di bianco, è salito sul palco mentre la tensione si poteva tagliare a fette. Sul palco era sistemato un altro soppalco e su questo infine una sedia con accanto uno strumento che avrebbe potuto essere un proiettore ma anche un prisma rifrangente. È lì che il messia ha preso posto. Ha accavallato le gambe, s'è preso la fronte fra l'indice e il pollice della mano destra, l'ha massaggiata per un lunghissimo minuto, poi finalmente ha parlato.

Prima stentatamente poi più sciolto ma sempre doloroso e infine trovando la modulazione di una nenia pacata e insieme suadente che gli affiliati stavano ad ascoltare immobili. Dubito che capissero qualcosa di quanto andava dicendo, ammesso che le parole avessero avuto un senso, la sensazione che neanche Meneghetti intendesse quello che stava dicendo era netta. La lezione, perché di lezione si trattava, avrebbe potuto somigliare a tante altre che un professore annoiato e distratto tiene nelle aule di un'università. Mancava solo la sintassi dei periodi tipica di certi studenti ignoranti, il complemento oggetto quando sembrava per arrivare si allontanava definitivamente in una serie di «cioè?» che invece di esplicitare la frase ne precipitavano il senso in una serie oscura di richiami esoterici, di ismi di nuovo conio, solo a colpi traditi da ovvie banalità.

si capisce che su una rivista di cui non cita il nome ha letto un articolo di uno psicologo inglese il quale dopo alcune rivelazioni statistiche ha osservato che alcuni incidenti e alcune malattie capitano più di frequente alle stesse persone in presenza di determinate altre e prevalentemente negli stessi posti. Lui concorda ma aggiunge: «All'inizio la colpa è un filo dicono i padri "patristici" (?!) poi a filo si aggiungono altri fili». Benone, fin qui è chiaro. La faccenda si complica quando Meneghetti focalizza un tema: «Guardiamo alle responsabilità della persona circa la macchina». Si tratta, cogliamo, dell'«inserzione del soggetto macchina» un processo alla fine del quale si arriva alla "psicologia zombica", "al soggetto muto che vive per condensazione vitale dell'ambiente». Parole in libertà, come si vede, idiozie pseudo-tecniche in tutto uguali a quelle usate nei film di fantascienza giapponesi a basso costo.

Per chi non avesse capito ecco l'esempio: «Sedimentazione della colpa quando il soggetto si accomuna per avere la gratificazione in anticipo concessagli dal partner più forte. Vi è allora una pulsione di spinta, una colonizzazione del figlio e un allettamento della macchina che assume il ruolo della madre». «Quelli che non capiscono muoiono - conclude Meneghetti - così come la madre sacrifica un arto».
Sembra che il maestro predichi la possibilità di trasmettere le malattie con il pensiero, e che per essere sani «non bisogna usare le proprie qualità, come l'intelligenza e la bellezza, ma possederle come un fiore: ecco proprio come un fiore». La metafora dev'essergli piaciuta proprio perché lo stesso Meneghetti s'è fermato cogitabondo.

Non un segno veniva dalla platea rapita, non un foglio ha cambiato di posto per 20 minuti, passati i quali anche la nostra curiosità era ampiamente soddisfatta. Per cui con un gesto lieve e che pure là dentro ha avuto l'effetto di una cascata, ci siamo alzati e ce ne siamo andati.