Bloc notes
Dal carcere

27 Maggio - 23 Giugno 1981
 

Antonio Meneghetti

appunti e considerazioni
durante il carcere
27 Maggio 23 Giugno 1981
 
 

P.le Clodio 12 - Roma     Ontopsicologica Editrice Luglio 1981
 



Attenzione: questo testo è stato riportato interamente nel suo primo capitolo.
Ogni errore di grammatica, sintassi o logica non è dovuto a noi ma all'autore.

Mia moglie. mi raggiunse in camere e mi svegliò con tono annoiato e contrariato:
-" Antonio, ci sono i carabinieri"
Ribattei :" Falli entrare"
Beh, prima mi vesto..."

Rimasi a letto a osservare dai vetri la pigra luce del mattino ancora incerto.

Mia moglie credeva che si trattasse della solita inutile perquisizione. Io sapevo che c'era il mandato di cattura con le manette ai miei polsi.

Come un branco di cani agguinzagliati su una preda che poi non esiste, si rigiravano tra testa e coda per macinare a vuoto la carica aggressiva, così vedevo quei poveri esseri umani che avevano più l'apparenza di delinquenti convenzionali, che funzionari di una legge.

Chiesi se volevano il caffè, erano circa una diecina, ma rifiutarono con imbarazzo.

Dissi loro di fare come a casa loro e che ero a loro completa disposizione.

Poi li vidi come grossi elefanti in cerca di simboli del mio pensiero. Raccoglievano a casaccio ciò che non capivano.

Erano massi di pietra che cercavano di comprimere l'invisibile.

Io li osservavo al di là di ogni loro possibilità, e mi facevano pena.

Di per sè, erano bravi ragazzi, anche se nel concreto esterno erano cani che mordevano l'aria. Quasi tutti mancavano di coordinamento. Riuscivano in qualche azione automatica e tradivano una acuta tensione che li disorganizzava persino nelle azioni più elementari.

Alle bambine non feci capire niente. Le feci accompagnare a scuola da Stefano. Vidi come una gratuita cattiveria l'arresto di mia moglie, dei recenti diplomati in Ontopsicologia e, più tardi, persino di Peppe e Stefanino.

I due brigadieri cercarono di fare qualche battuta ironica, che in realtà li identificava: - "Vede, Professore, noi siamo carabinieri, quelli che tutte le barzellette definiscono stupidi..."

Né  li guardai, né risposi.

Finalmente salimmo in macchina e fummo trasferiti al comando centrale per la prassi delle. impronte e foto.
L'ambiente era fatto di chiodi che cercavano la presa della identità della nostra coscienza.
Diversi militi cominciavano a vergognarsi; gli altri attratti da una curiosità di conoscenza, o si scusavano asserendo che loro non c'entravano e che dovevano farlo per obbligo di servizio.

Il capitano che doveva dirigere amministrava il tutto con la stessa competenza come un fattore cataloga sacchi di patate per il padrone.

Prima di essere diviso dagli altri1 potei salutarli e in particolare mia moglie. Il modo come la salutai fece sentire gli astanti sporchi e senza possibilità di nascondersi.
 

Terminata la prassi prevista, si doveva uscire in scena.

I carabinieri in divisa, si agghindavano come bambini per la sfilata con l'imperatore.

Con disagio e tremito mi misero le manette.

Contornato con ogni cura per prendere tutto l'onore possibile, fu aperta la porta di fronte alla piccola folla dei fotografi.

Rapidi commenti frecciavano per l'aria. Questi commenti ridussero in maggior vergogna la guardia che dovette sedersi accanto a me nella "pantera nuova".

Poi la corsa sfrenata sotto il fischio implacabile delle sirene. Io chiesi :- "Ma ogni volta fate questo teatro?"
"No, ma lo dobbiamo fare, è il regolamento".
Ripresi: " Beh, lo spettacolo mi fa ridere, ma terrò un comportamento serio per non deludere la vostra paura".
"Mi creda, mi dispiace..., non riesco a capire. Ma perché quando ha sentito le prime accuse dei giornali non ha reagito?".

Allora, per un attimo, gli ho risposto come sono:" Non preoccuparti. So quello che lascio accadere ".

Giunti al carcere di Regina Coeli, mi liberarono delle manette e gli accompagnatori mi strinsero la mano.

Dopo altri adattamenti al regolamento d'ingresso al carcere, fui deposto in una piccola cella, due metri e mezzo per tre, con cinque lettini uno sopra l'altro. Appena entrato, fui accolto dal più anziano con molto rispetto. Uno era "a pezzi" perché "s'era fatto" in modo pesante. Gli altri in silenzio erano d'accordo col più anziano che si chiamava Giacomino.
Erano "delinquenti comuni" ma dentro la mia emozione risuonavano come una umanità buona e sfortunata. Una specie di bambini in castigo, che però, appena fuori avrebbero rifatto il solito gioco proibito.

Il carcere non redime, ma conferma la predisposizione in carattere di colpa definitiva.

Il carcere è un ambiente dove, quella stessa semantica familiare che ha scolpito la matrice alla deviazione sociale, è sacralizzata e potenziata. Ogni singolo, affetto dalla sindrome psicologica per cui si va avanti con la fretta infantile di togliere il divenuto adulto agli altri, si consolida in stile definitivo di vita.

Tutte le celle, al di là del dolce fenomeno di quei volti fanciulli, avvertivo la presenza di tante mamme e qualche sorella.

Mai ho sentito cosi forte la presenza delle semantiche materne come in carcere. Tutti quei giovani e uomini sembravano stracciare tutti i legami sociali, perché ormai li hanno cuciti nel cuore.

Polizia e delinquenza hanno la stessa madre.

Madre, quell'attivatore di negatività che non ha niente a che vedere col puro incarnato della dolce pienezza che è la donna-madre.

Positivamente la madre è il luogo dove la vita rinfresca il proprio sorriso e lo rinnova fanciulla. La madre è il concreto dove la vita ama.

Quando critico la madre, intendo sempre un meccanismo simbiotizzato nella sua intenzionalità affettiva, un meccanismo che attraverso la vittima madre perverte l'istinto di vita del figlio.

Mi stesi sul letto non fatto e chiesi che, se non disturbavo, volevo dormire un po'. " Per carità, Professore! Come a casa sua! Anzi, se vuole un caffè!? Qui, siamo provvisti di un po' di tutto". Mi si indirizzò subito Giacomino.

Chiusi gli occhi, rividi il film della mia immagine storicizzata a Roma nel pianeta Terra il 27 Maggio 1981.

Dal mio cuore emanava una fascia magnetica che voleva tradursi in urlo di pianto. Allora ho dato la possibilità di essere protagonista al mio cuore umano impregnato di tutta la rugiada e sangue degli ultimi eventi :-
-" Non è giusto. Ho osservato tutte le regole dei gioco, ho dato ciò che aumentava la vita negli altri, e il mio sapere ha fatto crescere molti e non ha diminuito nessuno... Perché?...

E se volevano colpire me, perché squartarmi la famiglia, perché tagliare la madre da due bambine di quattro e di sei anni...?

Perché carcerare persone che di fatto non avevano alcuna responsabilità e iniziativa su tutto il mio operato?

Questo paese ha una Costituzione che si fonda sul lavoro e sulla libera democrazia, ha articoli come il 4 e il 21 dove rivendica il diritto e il dovere di ogni cittadino a esprimere, scrivere e insegnare il proprio pensiero, e poi va dietro lavanderie giornalistiche... Possibile che valgano più le calunnie delle comari, che la verifica dei fatti? Perché non verificano?...

D'accordo, un conto è l'onestà e un altro conto a la procedura legale... Ma anche secondo questa, non si deve violentare se non dopo una verifica diretta".

E intanto vedevo il mio cuore spezzato in quattro pezzi che colava lente grosse gocce di sangue amaro verso un buio senza fondo.

Osservando lo stato generale del mio organismico lo vedevo in pace, disteso e in allargamento comprensivo verso gli altri che dividevano la cella con me.

Di loro e degli altri ricordavo ciò che Cesare Pavese aveva formalizzato come complesso base del loro comportamento o modo di vita in "La bella estate" : "Un tema ricorrente in ciascuno dei vari intrecci e ambienti è quello della tentazione, dell'ascendente che i giovani sono tutti condannati a subire. Un altro è la ricerca affamata del vizio, il bisogno baldanzoso di violare la norma, di toccare il limite. Un altro, l'abbattersi della naturale sanzione sul più colpevole e inerme, sul più giovane".

Verso sera fui chiamato per il primo interrogatorio da parte dell'accusa; era un funzionario della legge che aveva irresponsabilmente formalizzato in capi d'accusa l'odio dei giornali (Associazione a delinquere, usurpazione di titoli, truffa continuata e Violenza carnale).

Cominciò a interrogarmi con la sicurezza di colui che comunque è la legge, ed io cercavo di aiutarlo nel tentativo di diminuirne l'ignoranza.

La buca voleva indagare il mare, ma il mare non volle affogarla.

Risposi semplicemente sul suo codice per aiutarlo ad essere onesto.

Nella mia mente si associavano le Figure di Socrate e Galilei, ma nel mio punto storico la sproporzione di valori era così enorme che non era possibile alcuna mediazione di dialogo.

Io dovevo comprendere e favorire il suo limite. Dovevo perché ero troppo nell'irraggiungibile.

Le immagini della mia cifra storica in contatto col tempo di quel giudice, di quell'avvocato e in quella stanza, erano visualizzate con tutta la relatività possibile.

Io ero in salvo e in forza al di là di ogni loro possibile .

Il mio atto distribuiva anche loro.

Terminata da parte mia la finzione al loro reale e a quella relatività storica, andai a letto.

Quella sera del 27 Maggio 1981 dormii con tutta la grazia di una distesa verde.
I sogni comunicavano relazioni e giochi con giovani adulti d'ambo i sessi su praterie che confinavano in cieli di luce tenera.

L'indomani fui trasferito in una cella e sezione molto migliore.

I detenuti erano tutti sulla quarantina, e avevano una sofferenza che faceva un filo di sangue sotto la crosta dell'anima troppe volta ferita.

Fui accolto con maggior deferenza e stima. Tutti sapevano, ma ognuno voleva parlarmi per sapere di sè stesso.

Lì, vedevo una conferma schiacciante dei criteri d'indagine dell'ontopsicologia. ma andavo molto cauto nelle spiegazioni sui casi individuali. I sogni che facevano erano da manuale ontoterapico.

Durante i due giorni che ci rimasi iniziai a scrivere "L'ipotesi meccanicistica nella psiche umana".

Un pomeriggio volli verificare le connotazioni dei processi immagogici in dote del mio organismo.
Nei riflessi egocettivi si visualizzava un attacco missilistico da spazi sincroni ma diversi da quello dove si puntualizzava la mia immagine terrestre.

Un compiuter madre radiava di continuo interferenze vettoriali per costituire l'eliminazione della mia presenza.

Se gli umani fossero giunti a comprendere che la loro situazione dolorosa è effettuata da una manipolazione più sofisticata della robotica Fantascientifica, la colonizzazione umana sarebbe stata impossibile.

La simbiosi della macchina è possibile finché gli umani la riconosceranno come atto spontaneo della propria vita.

Poi vedevo la materializzazione secondo le coordinate di questo spazio e tempo, dell'aggressione extra attraverso i modelli di procedura di questa società.

Chiuso il televisore immagogico, pensai agli amici che soffrivano realmente per me.

Loro, al massimo potevano appellarsi alla trascendenza dello spirito, all'onestà ideologica e al fatto di non avere i legami verbalizzati dal codice.

Dal mio reale attraverso il quale posso trascendere coscientemente tutte le mediazioni cifrate, avrei voluto aiutarli e rompere il trust che robotizzava le stereotipie della protezione legale.

Ma ho pensato che dovevo lasciar fare per riuscire ad ottenere collaboratori di forza autentica.

L'assurdo della violenza giornalistica e legale avrebbe spezzato gli inutili comunque, e autenticato i possibili puri.

Subivo spesso interferenze semantiche di "picchiate affettive", cioè avvertivo i momenti di acuta emotività affettiva dei detenuti prossimi in riferimento alla madre, ai figli, alla moglie.

Allora li incoraggiavo, e nel riprendersi si stupivano del mio vederli dentro.

Quando mi chiedevano come facessi o di insegnare "il trucco", sorridevo e sviavo il discorso.

Il che era facile, perché le normali dei loro riferimenti logistici erano le possibilità d'uscire quanto prima, di fare un grosso colpo e mettersi a posto, e l'apprensione di non riuscire a cambiare vita.

Il giorno seguente fui trasferito in un altro carcere con altri 11.

Fu umiliante, perché il trasloco era inferiore a quello riservato agli animali venduti al mercato o alle bestie da circo.

Pensai a tutte le dabbenaggini delle associazioni per la difesa degli animali. Ebbi l'impressione che la migliore pietà umana viene spostata in sublimazioni stereotipe che alla fine documentano un'ennesima perdita dell'umano.

Chiesi ai colleghi detenuti il senso d'un trasloco da un carcere all'altro :-
-" E' come essere rimessi in carcere ogni volta con più avvilimento". Risposero i più esperti.

Per me, ad ogni spostamento di cella o di carcere, era un dover strappare giovani radici del cuore e lasciarle sospese per l'ignoto.

Sono detenuto nel carcere di Rebibbia-Roma e vi ho trascorso già due domeniche.
oggi è martedi.

Non riesco ancora a decidere cosa fare per determinare la mia facciata storica.

Mi raggiunge la pena della famiglia, degli amici studiosi, la pena di chi mi ama impotente... ma questi dolori non sono sufficienti a farmi scattare.

L'essere indicato di soppiatto come un accusato speciale dai detenuti delle altre sezioni, e l'essere ogni tanto al centro del comarismo di cronaca dei giornali non mi ferisce a sufficienza per decidere diversamente.

C'è il fatto della vasta calma possente dove io passeggio luce raccolta.

E' come se mi trovassi in permesso speciale per godere solo di me, senza la preoccupazione di dover aiutare la funzionalità storica.

Per un pò è come se Antonio fosse scomparso dal copione storico e l'Io che è contempla estatico il proprio atto eterno che gli fluisce ritorno d'amore unico.

Togliersi dalla scena senza la necessità di morire, è un'arte che purtroppo ancora non posso insegnare.

Ottenere l'estradizione per iniziativa e colpa altrui, è uno dei miei modulatori di frequenza per essere messo fuori tiro dello stess meccanicistico per compiacermi nell'atto che sono.

Si tratta. di uscire dal nastro scorrevole o dall'unità di misura del film impressionato da
millenni sotto la regia di compiuters invisibili alle proprie marionette.

Il rientro nell'immagine in azione, costa quanto quale vestito scegliere per una determinata cerimonia.

Quando lo spirito si decide usano, non ha la sola strada della nascita mondana.

Ogni uomo che non riesce a indovinarsi dall'intimo, si consuma nel determinismo delle marionette o dei ciborg, facendo pagare all'anima una dannazione eterna.

L'uomo deride il sogno eppure il sogno è il tentativo della verità che cerca un contatto per comunicare, che cerca un dialogo per salvare. Anche se il sogno è molto più reale del volontarismo cosciente, è di continuo vilipeso e dimenticato.

L'uomo calpesta la sua verità, e la verità lo lascia consumare sino alla perversione mortale.

A volte mi sono distratto a guardare i tatuaggi distribuiti in varie parti di tutti i detenuti.
Hanno una simbolica costante :- L'albero e il serpente, la farfalla. lo scorpione, le frasi "mamma vita mia", "amo mamma", "mamma perdonami", volti di donna, il ragno, il coltello, la rivoltella, nomi di donna, la croce, il drago, cuori trafitti, le frasi su un piede "sono stanco" e sull'altro "anch'io", "per non credere ho sofferto", etc….

Anche se il tatuaggio approssima al messaggio sensuale, all'esibizione simbolica dei genitali, analizzato nella lettera esposta rivela il solito simbolismo della psicologia negativa.

Occorre sapere che il tauaggio si effettua perforando la pelle con uno o più aghi, internando nella pelle l'inchiostro di china, e questo con evidente dolore che però viene sostenuto con sorriso spartano.

Inoltre il tatuaggio è l'esposizione dell'amore masochista, e cioè la risposta a un amore latente sadico.

Non soffro per ciò che sono e nè posso soffrire.

Dove ho, qualcuno non è stato alle regole, e lì dove ho, qualcosa mi angustia.

Forse dovrei attaccare, ma distruggerei piccoli robots e consentirei maggiore vicinanza al compiuter madre.

Però devo vincere anche la partita, perché se non la vinco diverrebbe inutile l'aver deciso
l'apparizione in questo segmento terrestre per provocare la redenzione umana.

Gli umani capiscono e interagiscono solo attraverso gli starters simbolici. Se si perde nel simbolo si è eliminati dalla possibilità dell'interferenza positiva.

Se mi è esclusi dalla operatività fenomenica, non si può autenticare l'In sè dell'uomo.

A volte viene la voglia di lasciar perdere.

Ma poi ripenso che io esisto solo per aiutare la vita, e che il mondo della vita si fonda e si protrae per la priorità dell'istinto del dono verso i più, anche con la perdita della propria identità storica; e poi non sarebbe onesto e cioè non sarebbe secondo la proporzione del mio essere, abbandonare ciò che dal mio atto voglio con amore.

Chi sono?

Se lo dico manca il rapporto per mediare la comprensione di quel reale del tutto atipico dai modelli del reale mondano, e quindi determinerebbe l'assurdo.

Non si può spiegare, e cioè aprire l'azione verso la quale non si ha possibilità di presa.
Si capisce solo ciò che in qualche modo si può toccare col proprio reale.

E poi c'è quell'evidenza di grazia dell'umano.

Quante volte ho ritrovato la mia origine nella grazia dell'uomo, nella forze di grazia del suo In sè dove io contemplavo il ritorno di quella partenza fatta per gioco d'amore!

L'In sè dell'uomo è grazia e rivela l'innamoramento dell'essere.

Quante volte in questo orizzonte mondano ho contemplato il mio primo amore, primo perché è anteriore a tutta la fenomenica esistenziale, primo perché fiorisce come anima senza tecnica, senza tempo, senza spazio, senza segno.

Molte volte ho tentato di far coscientizzare l'atto metafisico del primo darsi....

Prima o poi l'uomo ci riuscirà, e allora, ritrovatosi origine divina, potrà danzare con identità di atto, di qua e di là di sè stesso.

Qui in carcere ho notato che non esiste il problema della morte. L'uscita in libertà somatizza tutte le problematiche esistenziali. L'uscita in libertà è intimo con l'affettività familiare.

Gli amici sono piuttosto colleghi di lavoro e s'incontrano piuttosto in carcere che in libertà.

Spesso affiora il problema di Dio ma sempre connesso come soluzione alla situazione che scontano.

Però, da quando io sono a portata di mano, per quelli che possono avvicinarmi, vogliono sapere il motivo della loro sfortuna e se c'è una via d'uscita prima della distruzione.

Sono sprovvisti di egoismo vitale: vogliono vivere bene e liberi soprattutto per non mancare ai loro piccoli, ai figli. Il senso di paternità è altissimo.

Non credevo che in carcere avrei goduto la mia anima di ragazzo.
Di là del carcere c'è la guerra e i rapporti fischiano come lame in cerca di muscoli cardiaci.

A sera, guardando di là delle mura e vedendo il caseggiato cittadino, sono tranquillo di stare da questa parte. Respiro questa pace larga che si stanzia in tutte le viscere.

Di questa pace ne mento il diritto anche di fronte a ciò che è il mio mandato scelto.
Questo diritto si è maturato per logica della censura del sistema meccanicistico.

Questo sistema gli altri non lo vedono nè lo sanno. Ma esso scatta immediato appena libero troppo a fondo la verità dell'uomo. Quella verità che dissepolta annullerebbe quell'informatica, quella cibernetica, o quel compiuter definito morale.

La macchina uccide dietro il simbolo morale.

La vera morale sarebbe la funzionalità della storia esistenziale all'In sè ontico. E cioè sarebbe un comportamento che dovrebbe maturare il frutto della gioia totale, quella gioia che ti trasborda per ogni dove che esisti, come una succosa mela che morsa non riesci a contenerla dalle labbra alla gola e dalla gola allo stomaco.

Invece la morale del sistema ti schiaffeggia o ti lega per rientrare nel prefabbricato dell'unità di misura, dove il compiuter madre può sempre gestirti secondo funzioni estranee alla tua natura.

E' una morale che ti rende efficiente per la programmazione a effetti opposti alla tua anima.

Lo scopo che giustifica la mia presenza in carcere nella mia strategia di coscientizzare l'umano al di là della sua scissione interiore, è duplice:-

-1) isolare per un periodo la psicosintesi neuronica del mio organismo per consentirne una più elevata funzione.
Ciò che io sono può fenomenizzarsi in questo pianeta solo attraverso un organismo umano e ho bisogno sempre del suo massimo rendimento per mantenere la visione ontica;

-2) sottrarsi agli amici per favorire la reazione della loro crescita matura.

Perché ho dovuto simbolizzarmi?
Perché ogni gestalt di vita è autonoma: se la si salvasse da fuori la ai ucciderebbe prima.
Un relax languido fluisce dalle viscere ai muscoli. Ho compresente l'estensione e organicità del mio corpo, con una esattezza che nessuna endoscopia multipla potrebbe raggiungere.
 

Vedo che il mio corpo vuole venire dove io sono, vuole scomparire dal fenomeno, vuole consumarsi verso l'ultimo e il primo di me al di là di tutte le dimensioni, o come gli altri intendono vuole morire.

Adesso gli dò identità di parola: -

Signore,
da quando sono la casa del tuo spirito, io ho vissuto estasi e abbandoni che i miei simili non possono mai sperimentare.

Tu sai che voglio e aspiro solo a te.

Attraverso me tu operi la salvezza dell'umano e allarghi forza della vita in questo mondo.

Però, attraverso me gli altri non ti riconoscono, t'infamano, ti uccidono.

Attraverso la mia realtà possono avvicinarti e farti udire l'infamia dell'odio stabilito dalla macchina.

Mio Signore,
laciami in te, acconsenti alla mia liquefazione.

So che non puoi trasformarmi, perchè si perderebbe la tua incarnazione qui…

Comunque tu sai, e sono pieno dove e comunque tu mi vuoi,
Mio Signore".

Per ora non me ne vado.

Se me ne andassi, l'umano peggiorerebbe. Infatti, negli eventi delle cause storiche, il peggior male consegue nella misura del bene non riconosciuto, in buona o mala fede che ciò avvenga.

E questa pace
che mi allarga dentro
stende tutto il cielo...
come onda che allarga il mare...
quel mare fluente del mio corpo
che il mio spirito sorregge.
Questa pace
che si sdraia dentro me...

Riprendendo a scrivere dopo alcuni giorni c'è un'idea che sta li e non se ne va, un'idea, in fondo, che ho sempre avuto da anni.

Ed è questa : chi sorveglia e punisce i magistrati che sbagliano?

Perchè i magistrati non pagano come gli altri cittadini?

Infatti ho notato che nel sistema generale (Legislativo, Amministrativo, Esecutivo) su cui si programma tutta la prassi civile e penale, l'unica categoria, in caso di errore, che non paga come gli altri, sono appunto i magistrati.

Già in Italia c'è il duplice fatto che la legge non chiede mai scusa e nè risarcisce, e che tutto il codice si basa partendo dall'accusa e quindi dall'ipotesi di reato e per questo principio il cittadino inquisito sconta come un delinquente convinto e dimostrato.

A tutto questo si aggiunge lo stato di franchigia degli operatori dell'accusa, se sono magistrati.

Cioè, un procuratore della Repubblica, riuniti o messi insieme alcuni capi di accusa, a suo giudizio probabili, ordina l'arresto e poi, sempre a suo giudizio1 procede nella formalizzazione, e presenta un probabile reo o autentico innocente, in una configurazione di reato a giudizi successivi.

In questa fase, l'inquisito, oltre ad essere di fatto  un presunto delinquente, può reagire solo dal quadrato ridotto della configurazione di reato.

Questo significa che un uomo, ottimo padre di famiglia, qualificato artigiano e stimato amico, incappando in un'accusa di reato, per esempio "associazione a delinquere" perché visto più volte a giocare a carte in quel tempo e con quella persona indiziata, per la legge è identificato esclusivamente come affiliato ad una banda illegale!...

In questo caso la legge è strumentalizzata contro certi e dimostrati valori della persona, alla ricerca di indizi. Il fatto è che si fa la decapitazione all'individuo, per vedere se ha dato uno schiaffo.

Inoltre, considerato che la maggior parte dei magistrati non hanno una coscienza di provata funzione etica, ne consegue che si è messo un enorme potere in mano a degli spontanei che non devono neppure preoccuparsi di essere sindacati per eventuali errori.
In caso di errore procedurale o giudiziario, possono  subire delle sanzioni disciplinari interne.

Il mio parere è che anche i magistrati, come tutti i funzionari della cosa pubblica, possano essere criminalizzati ogni qualvolta si riesce a dimostrare l'uso della legge contro cittadini innocenti. Ciò contribuirà a un migliore servizio della legge per la funzionalità sociale.

Ora che ho tolto questa idea-griglia dal passaggio cerebrale, mi si riapre via libera ad altri aspetti più ampi del mio accadimento storico.

Stamattina, mentre passeggiavo solitario nel campo di aria, mi avvicina un giovane architetto e mi chiede:-
-" Professore, che crema urna sulla pelle (ero a torso nudo) per emanare riflessi di sole cosi forte?"

Lo guardo, rifletto, e vedendo che aveva capacità di comprendere aspetti poetici con trabeazioni e spostamenti pindarici, decido di dirgli il vero sotto la maschera di una finzione poetica in ambientazione fantascientifica;

gli dico :-
-" Sei certo di ciò che vedi?
lo vedo questo mio qui con la trasparenza del passato e del futuro.
Ciò che sta qui di me, è passato o futuro?
Io vedo questa immagine, già nella realtà d'un futuro grande che misura con nostalgia d'amore questo pezzo che non è qui.
Io sono sciolto da questo segmento, perohè il mio reale si basa al di qua e al di là di ciò che tu cogli".

Poi, togliendosi gli occhiali, glieli pongo di fronte per consentirgli il suo riflesso e gli dico:-
-"Cosa vedi?"
"Il mio viso"
"E dove sei vero come reale?" riprendo io"

"Di qua. dove sono col corpo"
"Ma questo lo distingui perché in anticipo sai dove sei più evidente e concreto. Ma immagina se tu non possedessi il primo dato del tuo corpo... saresti ridotto all'unica realtà del riflesso ottico...

Dal mio reale, posso muovermi in diversi futuri e passati, e qualsiasi presente apparente ha per me la realtà d'un ricordo o d'una immagine che deve ancora essere letta.

Dal mio reale posso giocare da questa dimensione ad altre e conviverle contemporaneamente.
Esattamente come il tuo identico fisico può proiettarsi in un pensiero, in un'emozione, in una considerazione altrui, in un fatto, in un riflesso, in una foto, in un odio, in un amore, etc...

E il mio reale è ordinato da diverse gerarchie delle mie esistenze. E ciò è possibile perché il mio reale esce ubbidiente da ciò che io sono.

Anche il presente del mio vivere o morire, essere in carcere o in riva al mare, è sempre variazione di riflessi che non coinvolgono mai l'essenza di ciò che sono.

E qualsiasi cosa che divengo qui o altrove è sempre amato da me...

Ah, lo sai che anche la serietà metafisica è una prigione, se la fissi cose logica d'ogni tuo gesto? Il reale unico gioca sempre a nascondino, e bisogna riconoscerlo in adorazione sia quando appare nel trono del sole, come nella lacrima d'un capriccio infantile.

Bisogna essere signori concreti dell'immagine e dell'essenza, dell'assurdo e del semplice matematico, perchè alla fine sono la stessa cosa.

Io posso passare da una stanza all'altra della casa, pur abitandone fuori, perchè tutte le case sono forme meravigliose del mio atto.

Mentre divengo sono sempre, dal principio alla fine, diverso".

L'architetto s'era dimenticato della crema, e concluse trasognato che avevo una fantasia al di là d'ogni follia.

"E' vero!" risposi.
Devo aumentare la maschera per non trovarmi l'oggetto preferito del bisogno e dell'aggressività dei detenuti. Al di là dell'uomo di scienza hanno intravisto una mente che può prevedere o cambiare i dati di questa realtà.

Essi hanno appreso dal fatto che ho "predetto" o fatto uscire dal carcere alcuni loro amici che per logica di colpa e di procedura non era proprio possibile uscire in quel modo e così presto (due settimane).

Temo che credano ad una specie di magia gratuita. Non hanno capito che i tre aiutati sinora, hanno cambiato la loro situazione perché prima hanno compreso il loro complesso, e cambiando il loro intimo hanno anche mutato il loro reale esterno.

Infatti il complesso, attraverso i campi semantici psichici, modula, come nel mondo introverso e psicosomatico, molto degli eventi esterni.

Potrebbero divenire aggressivi, ritenendomi un avaro dispotico che nega loro il favore o il miracolo.

Qualunque destino si muta e si dirige sempre attraverso la concomitanza di due causalità: condensazioni dell'ambiente esterno (libertà altrui, conseguenze di causalità in evoluzione, stasi storiche, ambiente geografico, semantiche in effetto rete, interferenze normali di altre individuazioni, etc. ) e vettorialità proposte dal mondo cosciente e soprattutto dal piano delle latenze psichiche.

Nella stessa misura che un complesso può costellare i processi egoici, così, rinforzato da semantiche particolari, può costellare i processi del reale esterno.

Questa mattina, avevo fretta di risalire in cella perché avevo bisogno di scrivere.
Il piacere che mi urgeva voleva transustanziarsi nell'arte del segno.

Scrivere, per me, è arte pop, è metafisica incarnata nel leggibile per tutti.

Quando scrivo, mi sento allargato e disponibile per molti che poi vorranno essere di più.
La mia riduzione in segni convenzionati significa aver deciso la festa con molti amici con cui conviviare.

Scrivere per me è conviviare l'essere con chi lo cerca, e danzare con chi riconosce la sua musica.

Scrivo scolpendo le forme dell'essere perché la vita si riconosca gioia per il cuore dell'uomo.

Attraverso lo scritto, orma del vivente, io eterno la mia voglia di dialogo con tutti gli spiriti che cercano il ritorno.

Quando scrivo mi nascondo nel segno per incontrare tutti gli smarriti nel segno alla ricerca dell'In Sè.

Scrivo per prolungare il mio corpo e poter fare amore con anime degne dell'estasi dove l'essere consente il riconoscimento all'esistenza.
Lo scritto può vivere molti secoli oltre il mio corpo fatto di anni.

Quando scrivo, io conosco ed esprimo emanazione d'invisibile che si plasma di grazia piena, più del piacere creativo di Michelangelo o di Leonardo nel momento di dare forma concreta al loro atto estetico.

Scrivo per dare più orma al vivente veggente. Scrivo per far comprendere l'assenza del segno.

Segno corrente
che approssima il vivente
dove l'orma si consuma
dove il veggente si ferma
per contemplare
l'uomo giunto assenza.

Perché quando scrivo, dò fenomeno all'essere.

Anche oggi, 19 Giugno 1981, vedo laggiù ai piedi della mia montagna, una piana di luce che scivola come nebbia bianca e ride come rugiada al mattino: se la lasciassi concretizzare o psicosomatizzare, accadrebbe la morte.

La morte fisica avverrebbe per un eccessivo rilassamento del cuore e delle coronarie e progressivamente si diffonderebbe un rallentamento a tutti gli organi. Toglierei l'intenzionalità di una cellula all'altra e di un organo all'altro.

Visceralmente avvertirei uno slargo senza fine, la testa svanirebbe come l'annullamento d'un pensiero e cosi le braccia e le gambe.

Durante lo slargo viscerale, uscirei definitivamente, cioè morirei, il mio corpo sarebbe lasciato in questa dimensione terrestre, come un vecchio documento che non identifica più.

Il corpo non è altro che una modalità dimensionale dello spirito agente.

Senza questo corpo che io amo, che io esisto, che io sono, non potrei essere parola in questo contesto o categoria esistenziale. Questo mio corpo consente la storia mondana alla mia intenzionalità.

Però io so, che la macchina si plastificò in diverse dimensioni, non in questa sola, perché i grandi saggi un tempo, fuori da questo tempo, decisero di lasciare l'effettualità a certi
volontarismi che pretesero la fretta del fine, anzichè la stagione dell'evento.

Si potrebbe eliminare tutto.

Però si è deciso di insegnare a questa vita come autosalvarsi.

Quindi se mi stanco, ormai consentirei qualcosa che gli umani chiamano parricidio, anche se in realtà, salvi o non salvi, io resto intatto nel mio atto.
Se perdo o vinco nella storia non muta comunque chi sono.

20 Giugno 1981, ho saputo che frà giorni devo uscire.

C'è un piccolo miscuglio di sensazioni, però una è forte e predominante: tornare fuori per amare e fare l'autonomia dello stato di grazia di tutti coloro che incontrandomi mi sceglieranno.

Prevale la voglia di essere oggetto stimolatore per la rinascita di quell'In sè che unico fa l'uomo persona e che si appella intimo alla sovranità dell'essere.

La mia umanità sembra scomparsa, come trasumanata in una disponibilità assoluta,
o estasi obbedienziale all'intenzione del fare con dono.

21 Giugno 1981. Appena uscirò, so già che non vedrò nessuno degli amici.

Partirò il giorno stesso per un viaggio di relazione scientifica verso S.Domingo, e poi
New York.

Vorrei vederli e confortarli tutti gli amici. Ma inesorabile, ciò che io sono, con tutta l'amabilità della forma, sorrido e proseguo oltre.

Io posso amare tutto, ma devo amare solo ciò che cresce, perchè solo ciò che cresce mi identifica.

Dal momento che io sono, non posso contraddirmi.

L'asserzione "io sono", tra le molte significanze, implica l'azione intenzionata a una costante superiore affermazione.

Cioè, l'io sono dell'uomo, implica un costante farsi di modi esistenziali dove il successivo o ultimo modo implica formalmente tutte le funzioni dei modi precedenti e contemporaneamente resta aperto a una novità di esistere superiore all'attuale.

E proprio in questo si configura la sapienza del gioco dell'essere. L'essere, attraverso l'esistenza, può di continuo fenomenizzare un processo autocreativo che riconferma sè stesso come l'atto primo dogni prima, l'atto che riparte dal proprio effetto.

L'essere è il senso e l'esistenza ne è la parola.

Se l'essere amasse ciò che non diviene sviluppo, allora l'essere sarebbe contraddizione, e quindi non sarebbe.

L'essere quando una cosa o persona smette la produttività. ne mina il dissolvimento, o meglio il rimpasto di nuove individuazioni attraverso le quali rivelare la soluzione delle situazioni.

E' chiaro che ogni individuazione realizzata va in salvo, attraverso il proprio In sè, nell'identità dell'io sono, e da qui può dirigere tutti i giochi.

L'individuazione fallita, va nel rimpasto senza fine.

Ho scritto questo per far comprendere un aspetto della mia personalità.

Allora, vorrei vedere i miei amici, però ho necessità di provarli.
La prova li porterà al punto nel quale o ci divideremo, o proseguiremo meglio insieme.

E siccome essi sono persone valide e con intrinseca necessità di crescere, devono riuscirci in modo autonomo, per cui se non sono autoctisi personale, anche se li aiutassi, verrebbero comunque ridotti ad una oggettualità asfittica.

Dal momento che hanno l'autonomia personologica, io che li amo, devo consentire l'autosperimentazione, perché solo attraverso la loro autorealizzazione progressiva possono essere e quindi amare.

E se io li accettassi come dipendenza oggettiva, muterebbe la mia contraddizione e quindi non sarei, e per loro si svilupperebbe la funzione meccanica.

22 Giugno 1981. Fuori piove. Sono ancora nel carcere. La mia realtà di azione è già fuori, nell'azione fisica di migliaia di coordinamenti.

Il carcere mi ha dato riposo e il mio spirito di azione storica sì è potenziato.

Il carcere, mi era sempre mancato. Dell'umano avevo conosciuto tutto, meno i risvolti diretti della sofferenza in carcere.

Io ho provato un'oasi per allargare in ristoro la mia umanità.
Questo è stato possibile per due fattori:-
- la sottovalutazione in cui gli altri mi hanno tenuto per cui io non sono stato mai impegnato a dare dal mio intimo;
e secondo per il fatto che essendo impedito fisicamente dall'azione esterna storica, ho potuto usufruire con legittimità la mia introversione.

Ma ormai devo uscire,
la mia personalità è pronta a fare in avanti ancora di più...
perché io non sono altro che amore che ride.